Il segreto della fotografa francese di Natasha Lester: perché leggerlo?
Non tutti i libri che leggiamo sono degni di lasciare dentro di noi quella impronta indelebile tale da essere annoverati fra quelli che vorremmo tanto rileggere e che di certo non scorderemo mai. Questo non è però il caso de Il segreto della fotografa francese di Natasha Lester edito Newton Compton Editori: siffatta opera ha non solo quella indiscussa capacità di lasciarti quella scia di malinconia una volta che ne è terminata la lettura, ma anche a distanza di tempo avrai sempre in mente le scene lette – e vissute -.
Va da sé che prima che accada tutto ciò tu lo debba indubbiamente leggere. Ho recensito questo romanzo qualche mese addietro ma ancora oggi porto con me il ricordo emozionante di ciò che per me quest’ultimo ha significato.
Si dimenticano spesso i gesti ma non potrai mai scordare le parole che solcano il tuo cuore
Sono varie le ragioni per le quali dovresti tuffarti a capofitto in questa storia, ma te ne voglio indicare due in particolare.
Il primo motivo è strettamente legato a ciò che la Seconda Guerra Mondiale ha significato e per le ferite, lentamente rimarginate, provocate. In fondo cosa sappiamo realmente della Seconda Guerra Mondiale? La nostra conoscenza spesso si limita a ciò che abbiamo studiato sui libri di storia, a meno che tu per tua natura non sia un cultore degli studi storici; solitamente, però, le nozioni in nostro possesso riguardano l’aspetto prettamente come dire tecnico: le Nazioni che vi presero parte, le battaglie più importanti, i grandi condottieri, gli statisti… tutto resta lì in quella bolla asettica e distante.
Eppure dietro quei soldati – alcuni giovanissimi – si celava tanta paura: timore di non rivedere più la luce del sole il mattino dopo, quella luce oscurata dai bagliori delle bombe, lo sgomento di non riuscire più a riabbracciare i propri affetti. A conti fatti cosa ne sappiamo di tutte quelle giovani vite che, fucile in spalla e mimetica addosso – quasi fosse una seconda pelle -, si sono immolate per il bene della propria Nazione?
Attraverso lo scritto della Lester avrai la consapevolezza di quel risvolto della medaglia che di certo ti era ignoto: lo strazio di perdere un uomo del tuo reggimento, l’angoscia dell’attacco imminente, imparare a muoversi su un terreno minato come se stessi per calpestare delle uova, la crudeltà e l’indifferenza della guerra che non guarda in faccia nessuno; apprenderai che la parola Alleato spesso non è sinonimo di amico. Le donne per prime hanno imparato ciò a proprie spese, abusate e bistrattate senza chiedere permesso e senza che potessero reclamare alcunché perché si sa, dinanzi alla cruda disperazione niente pare avere più senso: persino la perdita della dignità.
Ed arriviamo quindi al secondo motivo: le donne. Per una mia personale abitudine, ogni qualvolta termino una lettura, leggo, se vi sono, le postille che l’autore – in questo caso autrice – inserisce nel proprio testo; nel caso della Lester ho scoperto degli aspetti non solo interessanti ma che mi hanno fatto apprezzare il suo romanzo ancora di più. Nell’opera, la protagonista è una giovane donna, Jessica May, fotografa per passione e modella per lavoro. A causa di un imbarazzante quanto singolare episodio, la carriera da top model della stessa si incrina bruscamente e lei, cogliendo ciò come un segno del fato, sceglie di dedicarsi a quello che realmente ama: la fotografia.
Decide di proporsi come corrispondente di guerra per testimoniare la scia di orrore, morte, depravazione che la stessa lasciava dietro di sé. Ebbene, il personaggio di Jessica si rifà ad una donna realmente esistita, tale Elizabeth Lee Miller, una donna straordinaria, la cui vita da bambina è stata tremendamente segnata da un abuso: cicatrici, sia fisiche che morali, che avrebbe portato con sé per il resto della propria vita.
Ma Lee non si è mai arresa, ha lottato, si è fatta valere ed è riuscita a farsi accreditare presso l’esercito americano quale corrispondente del London War Correspondents Corp. La Miller è stata la prima donna alla quale venne consentito di trovarsi sul fronte, così come ebbe il triste primato di essere la prima donna a testimoniare le torture e le inenarrabili atrocità perpetrate nei campi di concentramento.
Simbolica è una foto che la ritrae nuda nella vasca da bagno di Hitler: gli anfibi infangati ben poggiati sul tappeto immacolato ai piedi della vasca stessa. Quella foto, nata dalla spontaneità e dalla tenacia di Lee Miller, vuole lanciare un messaggio: le donne, se vogliono, tutto possono senza che la loro anima – e il corpo – venga calpestato da chicchessia.
Nel romanzo della Lester incontriamo un’altra grande donna: si tratta di Martha Gellhorn, considerata tra le più importanti corrispondenti di guerra del XX secolo, reporter di viaggio e testimone dei più importanti conflitti internazionali verificatisi durante i suoi sessant’anni di carriera. La Gellhorn, inoltre, negli anni che vanno dal 1940 al 1945 è stata la terza moglie dello scrittore statunitense Ernest Hemingway. La reporter, giunta alla veneranda età di 89 anni, ha messo fine alla propria vita ingollando veleno in pillole: era malata e quasi completamente cieca.
Infine, un’altra figura femminile che troviamo nel panorama delle corrispondenti di guerra fu la giornalista Iris Carpenter, ed è proprio con una frase dell’autrice che ti lascio, una citazione che non lascerà niente sottointenso, un aforisma che ti farà intenderà la profondità delle emozioni che il suo libro potrebbe regalarti:
«Iris Carpenter è stata la reporter che ha visto un soldato dell’esercito americano violentare una ragazza tedesca nel 1945. Non lo scrisse mai in un articolo per il “Boston Globe”, ma ne parlò più tardi nella sua biografia, pubblicata nel 1946. Ricorda la reazione dell’ufficiale cui aveva riferito l’accaduto, ossia che in guerra il problema principale era proprio la presenza delle donne. L’articolo di Jess, “Ho una pistola e nessuno può proibirmi di prendermela”, è basato su ricordi di Iris.»