Ci sono libri che segnano la vita in qualche modo, libri che hanno la capacità di aprire nuovi scenari e cambiare la personale visuale della realtà circostante: Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia è stato per me, all’epoca della prima lettura, un libro illuminante di quelli che veramente hanno la prerogativa di fare luce su una realtà fino ad allora solo intuita o sfiorata.
Ho letto per la prima volta Il giorno della civetta, capolavoro indiscusso e più che conosciuto di Leonardo Sciascia, poco più che bambina, avrò avuto si e no 15 anni: troppo presto per poter comprendere profondamente il messaggio intrinseco che contiene. Lo avrò riletto in età più matura almeno altre due o tre volte e, ogni volta, sono rimasta sorpresa per la straordinaria lucidità dell’autore nel descrivere una realtà che, al di là degli stereotipi siculi fatti di coppole, mafia, lupare, omertà e pregiudizi, è uno spaccato della società non solo siciliana.
La grandezza di un libro e per estensione del suo autore, è data da alcuni fattori che lo rendono eterno ed universale. Leonardo Sciascia ha saputo, con una lucidità quasi profetica, fare de Il giorno della civetta un romanzo che esula dai confini regionali e si estende sia al mondo politico che all’intera società, italiana e non, perché il malaffare non conosce confini né limiti.
Leonardo Sciascia e Il giorno della civetta: denuncia e visionarietà
Il romanzo è molto più di quanto può apparire ad una lettura superficiale. Leonardo Sciascia, ha anticipato i tempi e, partendo da una serie di omicidi per motivi di interesse su cui indaga il giovane capitano Bellodi, ha esteso il suo sguardo oltre: Il giorno della civetta è essenzialmente una denuncia del sistema mafioso che, all’epoca della prima pubblicazione del libro, era ufficialmente relegato dentro i confini siciliani. Sistema mafioso che, in seguito, si è scoperto essere un “modus” più che diffuso di un certo tipo di politica che mette al centro gli interessi personali e non il bene collettivo.
Pubblicato per la prima volta nel 1961, Il giorno della civetta prende spunto, come lo stesso autore ebbe a raccontare, da un episodio reale: l’omicidio del sindacalista Accorsio Miraglia, avvenuto nel 1947 a Sciacca, ad opera della tristemente solita e nota mano mafiosa che, nella Sicilia di gran parte del Novecento, faceva il bello e il cattivo tempo, arrogandosi il diritto di vita o di morte sulla pelle di coloro che avevano l’ardire di non tacere. Non che lo stato delle cose sia tanto cambiato nel nuovo millennio: sono cambiati i modi, la mafia non spara più per le strade e agisce in maniera più subdola… Questa, come di solito, è però un’altra sporca storia.
Inutile dire che Il giorno della civetta ha avuto moltissime riedizioni dal 1961 ad oggi e altrettanto inutile dire che, nel 1968, è approdato anche sugli schermi cinematografici sotto la sapiente regia di Damiano Damiani e le straordinarie interpretazioni di Franco Nero, Claudia Cardinale e molti altri nomi di spicco che lo hanno reso uno dei film più apprezzati.
Una curiosità particolare riguarda la scelta del titolo che Leonardo Sciascia ha voluto dare al suo romanzo: il riferimento alla civetta è dato dal fatto che la mafia, in passato per nascondersi, agiva di notte proprio come gli uccelli notturni cui la civetta appartiene. Il titolo Il giorno della civetta, invece, sta ad indicare il “salto di qualità” compiuto dall’organizzazione criminale, che non ha nessun timore ad agire di giorno.
Frasi celebri da Il giorno della civetta
E come non ricordare le frasi celebri che continuano ad essere di un’attualità sconvolgente, con le quali Sciascia descrive una cruda ma vera realtà, attraverso il pensiero dei suoi personaggi?
Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una barbiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l’appenda da sè, del colore che gli piace…
O in un famoso altro passaggio:
Ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a direumanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà…
Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre.
Ho scelto soltanto qualche spezzone più rappresentativo del romanzo, parole che hanno valicato anche i confini nazionali, assumendo caratteristiche di veri e propri modi di dire. Ed è sotto gli occhi di legge la grande lucidità, mista a sapiente ironia, con la quale Leonardo Sciascia descrive un certo tipo di andazzo attraverso la voce dei personaggi de Il giorno della civetta.
Ironia, lucidità, profezia, denuncia e disincanto: qualità che danno a Il giorno della civetta quell’alone di immortalità che fa affermare, a chiunque si trovi a leggerlo oltre le righe, di avere davanti non solo un classico della letteratura ma un vero e proprio capolavoro letterario del Novecento. Degno di quel Nobel che il suo autore non ha mai ricevuto, pur meritandolo.