Poco tempo fa mi è capitato di leggere e recensire uno dei libri più particolari su cui io abbia messo le mani nell’ultimo anno: Le sette morti di Evelyn Hardcastle di Stuart Turton (Neri Pozza). Tra i mille enigmi che mi si presentavano davanti, una sola certezza si è fatta largo in me fin dall’inizio (o meglio, da quando ho cominciato a capirci qualcosa): ogni reincarnazione del protagonista coincideva con la presenza di uno dei sette vizi capitali.
Riprendendo il discorso, credo che questo libro sia la dimostrazione di quanto i sette vizi capitali siano un tema ricorrente e radicato in letteratura, così come nel cinema e nella televisione. Si prestano non solo alla creazione di opere all’interno di una serie, ma permettono di far riflettere il lettore; di portare all’analisi personale attraverso il confronto con un modello in cui i tratti caratterizzanti sono portati all’estremo.
Sette vizi per sette volti: i vizi capitali in Le sette morti di Evelyn Hardcastle
Se non ti è mai capitato di sentire parlare di Le sette morti di Evelyn Hardcastle, ecco un breve riassunto: si tratta di un thriller, in cui il protagonista – un uomo affetto da amnesia – ha otto giorni per riuscire a risolvere il mistero dell’omicidio di Evelyn. Solo una volta che il colpevole sarà rivelato, l’uomo potrà lasciare la tenuta di Blackheath. La faccenda, però, è molto più complicata di quello che sembra, perchè gli otto giorni sono in realtà la possibilità di vivere la stessa giornata, ma attraverso gli occhi di otto persone diverse – le reincarnazioni che andremo ad analizzare, appunto.
Ovviamente, non essendo i vizi capitali il tema centrale di questo romanzo, in alcuni casi non c’è una corrispondenza perfetta tra personaggio e caratteristica. Tuttavia, una volta fatto il primo collegamento, non mi è stato più possibile smettere di ricercare in ogni personalità i tratti che la rendevano l’esemplare perfetto per parlare di un vizio.
Il primo volto che il protagonista indossa è quello di Sebastian Bell, un medico che ha fatto fortuna vendendo droghe ai rampolli della’alta società. Già con questo personaggio, mi sento di oscillare tra due vizi capitali, in quanto i sui tratti caratteristici sono la codardia, che è una sfumatura dell’accidia, e sicuramente un briciolo di avarizia – uno non si porta un baule pieno zeppo di medicinali da usare come droghe in una magione in mezzo al nulla, se non con lo scopo di vendere e fare un bel gruzzolo. Per quanto riguarda l’accidia, beh, Bell passa l’intera giornata a recriminarsi cose che non ha fatto, passi che non ha compiuto, parole che non ha detto.
Quale assegnare a Cecil Ravencourt tra i sette vizi capitali non è stato per nulla un problema: altro non può incarnare se non la gola, e nel senso più stretto del termine. Per quanto dimostri una mente lucida e acuta per buona parte della giornata, non appena gli viene piazzata davanti la sua enorme dose giornaliera di cibo, perde la testa, non riesce a più a controllarsi e nemmeno a darsi un contegno, sebbene la sua reputazione sia la cosa a cui tiene di più.
Il quinto personaggio, Jonathan Derby, ha rappresentato un’incognita: quale assegnargli tra i vizi capitali di ira e lussuria? Stupratore seriale, ogni volta che posa i suoi occhi su una bella ragazza, la cosa che il suo istinto gli suggerisce di fare è una soltanto, e non sempre si trattiene. D’altra parte, però, la sua ragione svanisce completamente quando è colto dalla rabbia, quando mena le mani (e le prende). Nel momento in cui ha un nemico da fronteggiare, lo carica a testa bassa, facendo ricorso a tutta la sua ira per vincere.
La superbia in Edward Dance è sottile, quasi impalpabile, e per certi versi storicamente comprensibile, quando è rivolta alla servitù – la vicenda è ambientata nei primi decenni del Novecento, negli anni Venti circa. Tuttavia, è nei confronti del proprio figlio che l’insoddisfazione e il disgusto si fanno più forti e presenti, sottolineati dal senso di superiorità che sente nei confronti del ragazzo.
Anche Jim Rashton non incarna i vizi capitali con la foga dei personaggi precedenti. Se dovessi sceglierne uno, gli appiopperei l’invidia, visto che lui è un poliziotto innamorato di una nobildonna, e assolutamente sprovvisto delle finanze necessarie per corteggiarla a dovere. Finanze che certo non mancano a quasi tutti gli altri ospiti della villa.
E infine Gregory Gold, che mi sento di categorizzare come lussurioso – fortunatamente senza la componente violenta presente in Derby. Gold è appassaionato di belle donne – comprese le mogli altrui – che spesso fa danzare tra le lenzuola, e della vita, che cattura con le sue mani di pittore.