Scrivere un horror al giorno d’oggi è un’impresa davvero ardua, abituati come siamo agli spettacolari effetti speciali del Grande Schermo o, peggio, alle sconvolgenti notizie che ci arrivano da un mondo sempre più cruento e violento. Eppure, Matteo Strukul con il suo ultimo romanzo I sette corvi (Newton Compton) è riuscito a creare un’opera avvincente, intrigante ed estremamente suggestiva fondendo le atmosfere tipiche del thriller, ricche di suspance e mistero, e quelle proprio del genere horror, in grado di tenere il lettore incollato ad ogni singola pagina. Analizziamo nel dettaglio questo imperdibile romanzo!
I sette corvi: la trama
Quando l’ispettrice Zoe Tormen e il medico legale Alvise Stella raggiungono il piccolo villaggio di Rauch, capiscono subito che quello non è un posto come gli altri. La valle sembra essere isolata dal resto del mondo, tagliata fuori dalla cintura aspra ed aguzza delle Alpi Venete che la circondano. Qui la Natura sembra regnare incontrastata e gli abitanti ne sono consapevoli, stretti in una spirale tangibile fatta di inquietudini, neve e paure radicate in un passato così oscuro che alcuni hanno preferito dimenticare.
Il medico e la poliziotta sono stati chiamati ad indagare su alcuni strani omicidi che sembrano riconducili ad un cruento rituale: alcune vittime sono state ritrovate con i corpi martoriati da numerose ferite e gli occhi strappati dalle orbite. Zoe ed Alvise percorrono, inizialmente, diverse piste senza successo ma in cuor loro sanno qual è la verità, una verità che fanno fatica ad accettare. I responsabili di quegli omicidi sono i corvi, presenze oscure e tenebrose che sorvegliano la città e i boschi circostanti.
Ben presto alle vicende di Zoe si uniscono anche quelle di altri personaggi: Marco, un bambino inquieto a causa delle complesse dinamiche familiari che coinvolgono anche Anna e Riccardo, i suoi genitori ed infine anche Rauna, l’anziana proprietaria della locanda “I sette corvi”. Sarà proprio quest’ultima ad aiutare Zoe a portare avanti le indagini.
Se i primi capitoli avanzano sui classici binari del giallo e del thriller, ben presto le atmosfere crime vengono oscurate da un clima di profonda tensione ed inquietudine. Il passato torna prepotente in un villaggio che Zoe apprende essere maledetto, schiacciato da una colpa non espiata e che lei è chiamata a cancellare. Ma accettare questo nuovo destino, per lei così fredda e razionale, è difficile, anche quando il cielo si tinge di nero e i corvi arrivano a reclamare la loro sanguinosa vendetta su ogni abitante di Rauch…
Un romanzo oscuro tra horror e realismo magico
Ciò che colpisce sin da subito è lo stile narrativo dell’autore. Strukul dimostra la sua abilità nel dipingere scenari vividi e dettagliati, capaci di avvolgere il lettore in un clima di tensione e fascino dannato. La neve, il vento, la solitudine delle montagne si fanno elementi narrativi tanto quanto i personaggi, contribuendo a creare un senso di inquietudine costante, ammantata di una bellezza antica e pericolosa, quella che si può trovare solo in vecchie leggende e miti dimenticati:
I corvi apparvero tutti insieme, quasi obbedissero a un richiamo soprannaturale. Nessuno avrebbe saputo dire se fosse stata la fame, il gelo o la rabbia a trasformarli in cacciatori assetati di sangue. Ma i riflessi metallici delle piume nere erano autentici vessilli di morte e l’aura bluastra degli occhi rivelava una determinazione ferma, incrollabile. Come se avessero atteso fino a quel momento prima di colpire. Rinunciando, almeno per un po’, a quella natura che li voleva assassini senza che fossero mai stati tali. O forse, invece, v’era in loro una memoria di trapasso, sepolta per lungo tempo, e che ora, però, come un rigurgito, riappariva nei loro becchi e artigli, governandone le azioni al di là del loro istinto.
Il “realismo magico” di queste suggestive descrizioni è supportato da un ritmo incalzante e da una tensione narrativa sempre crescente. I capitoli brevi, la sintassi che si fa rapida e scorrevole rendono la lettura estremamente scorrevole e il lettore non potrà fare a meno di divorare una pagina dietro l’altra, sospeso tra il desiderio di scoprire come si evolverà la vicenda e la meraviglia soprannaturale del paesaggio in cui essa si svolge.
Via via che la storia prosegue le tinte crime sbiadiscono sempre più e si passa ad un horror dalle tinte fosche, lambite da una narrazione dal sapore mitologizzante e che sembra richiamare, non soltanto i grandi maestri moderni di questo genere come King, Edgar Allan Poe e James O’Barr (citati espressamente), ma anche le grandi lezioni delle tragedie antiche in cui le colpe degli avi ricadono sul presente:
Le montagne aguzze e dalle cime candide di neve restarono a guardare. Fra crepacci e anfratti conservavano la memoria di quanto avvenuto molto tempo prima. Quei picchi non avevano dimenticato la ferita perpetrata dagli uomini in un passato ormai lontano, anzi, ne erano stati testimoni e come tali avevano conservato le cicatrici.
Solo lo scorrere del tempo, depositato su strati e strati di roccia, era riuscito a lenire il dolore per i fatti avvenuti sopra il rugoso manto delle montagne, quasi gli anni ne avessero carezzato i fianchi, modellandoli e rendendo le cime ancora più aspre e belle. E in quella strana religione dei ricordi si consumava il debito del genere umano e in particolare di quanti, con fatica e sacrificio, avevano scelto di rimanere, a costo di portare sulla schiena le colpe dei padri e delle madri, senza sottrarsi a quel calice e accettando di espiare quanto era giusto.
L’unico difetto di questo romanzo (se dobbiamo trovarne uno) riguarda la caratterizzazione dei personaggi. Sebbene di alcuni personaggi secondari viene indagata a fondo la psiche e la storia (è il caso di Marco o di Anna, ad esempio) di altri invece sappiamo davvero poco. Le storie della stessa Zoe o di Rauna, la misteriosa locandiera dei Sette Corvi, sbiadiscono in mezzo alla forza dei boschi, alle asperità delle montagne e alla sacralità di leggende dimenticate di cui, a tratti, appaiono quasi delle comparse.
Che sia un effetto voluto o meno, per lasciar trasparire il peso e la potenza della Natura rispetto alla fragilità umana, di certo conoscere meglio alcuni personaggi e approfondire anche l’interazione tra di essi avrebbe potuto conferire quel tocco di realismo in più che avrebbe reso l’intera narrazione più verosimile e quindi ancora più inquietante.