Giovanni Pascoli è uno di quegli autori che non ha certo bisogno di presentazioni: stra-conosciuto da tutti gli studenti a cominciare dalle scuole elementari, è uno dei maggiori esponenti della letteratura italiana a cavallo fra Ottocento e Novecento. A lui si deve un nuovo modo di concepire la poesia: lontano dagli schemi classici, seppe rivoluzionarne il concetto attraverso la poetica del Fanciullino.
Non voglio parlarti di Giovanni Pascoli in modo tradizionale, non è il caso considerando sia la grande importanza che riveste nella tradizione letteraria italiana che la sua enorme fama. Oggi ti voglio raccontare il mio approccio personale con Pascoli che magari, chi lo sa, è simile al tuo.
Giovanni Pascoli: ricordi…
La prima volta che incontrai Giovanni Pascoli avevo si e no nove o dieci anni. Andavo a scuola elementare e la maestra, fra l’altro giovane, bella e all’avanguardia, un bel giorno se ne uscì assegnandoci di imparare una poesia a memoria:
Oh Valentino vestito di nuovo come le brocche dei biancospini…
E qui cominciarono le domande: com’è che i biancospini hanno le brocche? Le brocche per me erano soltanto recipienti dove si metteva l’acqua, cosa c’entravano con il biancospino e soprattutto con Valentino? Quel Giovanni Pascoli, poeta dell’Ottocento cosa mai si inventava? Che poi, uno che si chiama Valentino pure vestito di nuovo, poverino, non poteva andare scalzo…
Mille domande in quella testa di bambina, abituata tra l’altro a poesie più moderne, vista la tendenza alle avanguardie della maestra… Ebbene si, ho avuto una maestra di scuola elementare sessantottina, con tutto quello che ne consegue e il discorso qui potrebbe andare lontano ma lo tagliamo qui. È d’obbligo dire però, che già alla scuola elementare si comincia a formare la coscienza di una persona, quindi mai sottovalutare il lavoro importantissimo che fanno i maestri.
Parentesi chiusa e torniamo a Giovanni Pascoli. Il primo impatto con il poeta del Fanciullino non fu negativo, ma mi lasciò perplessa per vari motivi: in primo luogo per la scelta della maestra di assegnarci quella poesia e poi per il Valentino in questione. Povero ragazzo, mi faceva pena. Pascoli lo aveva descritto povero nella sua poesia e nella mia mente di bambina, era scattata la solidarietà. Pensavo che avrebbe potuto inventarsi qualcosa di migliore per uno con un nome così carino.
Superate le elementari, eccomi alla scuola media e come è normale succeda, gli argomenti ritornano. E Giovanni Pascoli ritornò alle scuole medie. Ritornò con le spiegazioni impostate di una docente non proprio giovanissima, sarebbe infatti andata in pensione proprio alla fine del mio triennio alle medie. Se alla scuola elementare ero rimasta perplessa su Giovanni Pascoli, alle medie l’ho detestato cordialmente.
Vero è poverino, ha avuto addosso tutte le sventure del mondo, ma pure lui dedicare una poesia ad una cavallina, storna per giunta… Che poi, non capivo neanche cosa significasse storna!
Oh cavallina, cavallina storna che portavi colui che non ritorna…
Veramente, non esagero quando affermo di aver detestato amabilmente Pascoli, la cavallina, i suoi guai e i suoi morti. Forse anche per colpa della vecchia prof. che rendeva tutto pesante e palloso. Ed è per questo che sono convinta della necessità, nel presentare ai ragazzi un autore, di renderlo quanto più possibile “simpatico”, trovando il modo di attualizzarlo, anche se appartiene ad un altro secolo perché se è vero che cambiano i tempi, il cuore e l’interiorità dell’uomo non cambiano mai.
Credi che siano finiti qui i miei scontri con Giovanni Pascoli? No! Ovvio.
Com’è normale sia, me lo ritrovai alle superiori. Devo dire però che grazie ad un eccezionale professore di italiano, sacerdote fra l’altro, cominciai un pochino a comprendere la poetica di Giovanni Pascoli e a capire che dietro le apparenze di versi semplici, dietro poesie come bozzetti di stampo quasi verista, come possono sembrare quelle di Myricae, la sua prima raccolta di versi, si celava un universo poetico densamente simbolico.
Giovanni Pascoli e il Fanciullino
Quel famoso Fanciullino, così inflazionato e citato quando si parla della poetica di Giovanni Pascoli, forse cominciava a sussurrare all’imprinting che avevo avuto del poeta che era opportuno saperlo guardare da un’altra angolazione. Sedici/diciassette anni sono comunque pochi per andare dentro e soprattutto oltre, l’apparente semplicità di certi versi:
[…] E tu cielo, dall’alto dei mondi/ sereni, infinito, immortale,/ oh! d’un pianto di stelle lo inondi/ quest’atomo opaco del Male.
I versi che ho riportato, famosissimi, sono l’ultima strofa di X Agosto, poesia presente nella raccolta Myricae. Potrà sembrarti strano ma sono quelli che per primi mi hanno fatto capire la profondità di un poeta che pur appartenendo ad un’altra epoca, è sempre attuale. L’immagine delle stelle cadenti, viste come lacrime del cielo su un mondo “atomo opaco del male” mi fa riflettere e commuovere ancora: oggi più di quanto lo abbia fatto ai tempi della scuola.
Credi finisca così il mio impatto con Giovanni Pascoli? No, per niente. Agli esami di maturità, cosa mi ritrovo fra le domande dei commissari d’esame, allora tutti esterni? Logico, Giovanni Pascoli e il suo benedetto Fanciullino. Io che adoravo gli Ermetici e speravo con tutta me stessa qualche domanda su di loro, eccomi invece esaminata su Carducci e Pascoli, con un improbabile parallelismo fra i due.
Tutto sommato non devo aver detto baggianate, anche se non ricordo affatto di cosa ho parlato di preciso, dal momento che il mio voto agli esami di maturità è stato di sessanta su sessanta, a quel tempo, anni a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta, il voto era espresso in sessantesimi.
Se devo essere sincera per lungo tempo non ho più letto niente di Giovanni Pascoli, ho avuto una specie di avversione durata moltissimi anni. L’ho riscoperto da adulta, grazie anche ad una lettura che esula dalla sua poesia e che riguarda invece il Pascoli inserito nel dibattito politico-culturale dei primi anni del Novecento.
Giovanni Pascoli saggista
In Prose e discorsi, saggio del 1911, pur nei limiti di un nazionalismo esasperato, Giovanni Pascoli si schiera a favore di quella Italia proletaria costretta ad emigrare per poter vivere: siamo infatti nel periodo dell’emigrazione di massa verso le Americhe.
Quella lettura, fatta per puro caso mi fa scoprire un poeta-letterato impegnato e sensibile ai problemi del suo tempo. Scopro di conseguenza un Giovanni Pascoli molto diverso dall’immagine che ne avevo avuto da studente. E così di tanto in tanto rileggo le sue poesie.
Sarà che la maturità fa vedere e valutare cose e persone da un’altra angolazione, sarà che inevitabilmente gli anni e le esperienze modificano dentro, ma mi sono ritrovata spesso faccia a faccia con quel Fanciullino sempre vivo dentro ciascuno di noi. Adesso che gli anni a venire sono inferiori a quelli già trascorsi, capisco Giovanni Pascoli quando afferma c’è un angolo d’anima che non cresce mai.
In quell’angolo, il più segreto, il più nascosto, c’è sempre il bimbo che siamo stati, quello che “ha paura del buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla agli alberi, alle bestie, ai sassi, alle nuvole, alle stelle; che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei.”
Quello che ogni tanto emerge dalle nostre adulte e spesso adulterate convenzioni e con uno sberleffo ci sorride da lontano.