Francois Mauriac scriveva
“Non mi sento di giocare in un mondo dove tutti si mettono a barare”.
Sono parole che pesano come macigni e aggiungo profetici se guardiamo come il mondo si sia evoluto. Mauriac da bravo giornalista avrebbe respirato le influenze di una realtà provocatoria senza esimersi, da scrittore e drammaturgo, di denunciarne poi i risvolti negativi, le contraddizioni, il perdurare di un mal costume, figlio di una spiritualità ormai offuscata dai facili istinti.
Francois Mauriac, “Il massimo segno dell’intelligenza è il dubbio”.
Ma chi è Francois Mauriac? “Un cattolico che scrive romanzi” lui risponderebbe così anche se la critica letteraria lo dipinge più come il “romanziere cattolico”. Le note canoniche tuttavia lo riportano come romanziere francese nato a Bordeaux alla fine dell’1800, anche se di Mauriac risalta prima di tutto il Nobel per la letteratura ricevuto nel 1952.
È questo che lo rende espressione di una personalità dalla sensibilità letteraria fuori dagli schemi. Non è una sensibilità fine a sé stessa. L’infanzia è segnata, infatti, da una educazione materna severa e intransigente, convintamente legata al rispetto dei principi morali quali unica ragione di vita. Dannazione e perdono, il male e la fatalità contrapposti al bene e alla razionale rinascita spirituale “in favore di un cristianesimo innovatore delle coscienze”.
Tutta la vita letteraria di Francois Mauriac è un percorso di analisi profonda. Ad appena 24 anni, uscito dagli studi universitari. il giovane scrive la sua prima raccolta di versi Les mains jointes, passando poi al primo romanzo La chair et le sang che pubblica nel 1920. Seguono Préséances del 1921, Le baiser au lépreux, Genitrix, Le désert de l’amour uscito nel 1925 e infine Thérèse Desqueyroux, uno dei suoi capolavori, scritto nel 1927.
Dio è il cacciatore che scopre le piste e spia la preda al margine del bosco.
Egli sa per dove passano i nostri miseri corpi. Egli osserva le orme della selvaggina umana guidata dai propri istinti, per le stesse vie, verso gli stessi piaceri
Non c’è nulla che possa essere di reale interesse se non l’interiorità dell’individuo e la sua fragilità davanti al Dio che tutto guarda e tutto perdona. La realtà di Mauriac non si mescola con le contaminazioni esterne, è costantemente alla ricerca della verità cristiana. Non c’è altro se non la Grazia di Dio, più forte delle miserie umane, capace di distruggere “la bestia” del peccato.
Vivere nel male non può che spingere l’individuo a salvarsi attraverso il Bene, Mauriac lo dimostra scrivendo tutta una serie di saggi e di biografie: La rencontre avec Pascal, Le démon de la connaissance, Le roman, i quattro volumi del suo Journal.
Francois Mauriac premiato con il Nobel per la Letteratura
Durante la seconda guerra mondiale scrive, sotto lo pseudonimo di Forez, Le cahier noir pubblicato nel 1943, ma dopo la liberazione sceglie di dedicarsi al giornalismo, collaborando all’Express e quindi al Figaro littéraire con articoli di politica, di letteratura, raccolti nei volumi di Bloc-notes. Nel 1952 l’Accademia svedese lo premia con il Nobel
“per il profondo spirito e l’intensità artistica con la quale è penetrato, nei suoi romanzi, nel dramma della vita umana”
Etica e Cristianesimo sono indubbiamente il tema fondante del pensiero di Mauriac che non ama giudicare ma entrare empaticamente in contatto con i suoi personaggi sofferenti, pieni di rimpianti. A loro Lo scrittore riserva comunque la possibilità di sperare, di guardare a Dio come l’univa via di salvezza dalle proprie debolezze.
Quelli che sembrano votati al male, forse sono stati scelti prima degli altri, e la profondità della loro caduta dà la misura della loro vocazione.
Nel 1969 Francois Mauriac ritorna al romanzo con Un adolescent d’autrefois, morirà poi a Parigi nel 1970. In Italia non ha certo avuto l’attenzione che forse si sarebbe meritato, è Umberto Eco, studioso dello scrittore francese, a rivalutarlo curando I cinque volti dell’angoscia, una pubblicazione edita quarant’anni fa in Italia, da Città Armoniosa.
Si chiede Umberto Eco: un cristiano può scrivere, fare della letteratura e nello stesso tempo non perdere la propria anima? Mauriac non ha dubbi…
“ Uno scrittore è soprattutto un uomo che non si rassegna alla solitudine. Ciascuno di noi è un deserto: un’opera è sempre un grido nel deserto. L’essenziale è di essere capiti sia pure da un’anima sola. L’essenziale è che il nostro pensiero e, se siamo romanzieri le nostre creature, che costituiscono la parte più viva di noi, siano accolti da altre intelligenze, da altri cuori, siano compresi, siano amati”.