Caro iCrewer,
nel nostro appuntamento domenicale con il mondo della filosofia, ho deciso di dedicare un piccolo spazio anche al mondo delle religioni. Dopotutto, la religione può essere considerata una “sorella” della filosofia, in quanto entrambe si occupano della nostra spiritualità, ci aiutano a farci domande e a darci risposte.
Oggi, quindi, voglio parlarti di un vero e proprio fenomeno culturale che non tutti sanno essere, in realtà, una vera e propria religione: il Rastafarianesimo.
Non tutti sanno, infatti, che il Rastafarianesimo (o più semplicemente Rasta) nasce con un significato religioso ben più profondo e diverso dai soliti pregiudizi cui siamo abituati.
Se, dunque, sei interessato a scoprirne di più preparati a scoprire tutto sulla cultura rasta!
Rastafarianesimo: origini e storia
La religione rasta nasce negli anni Trenta ed è strettamente legata alla storia dell’emancipazione delle popolazioni di etnia africana. Deportati, schiavizzati e maltrattati i neri di tutto il mondo già dalla fine dell’Ottocento avevano iniziato a reclamare sempre più attenzione e diritti. Molti di loro si affidarono anche alla religione cristiana per ottenere forza e sostegno.
Marcus Gavery, scrittore giamaicano, ad esempio, aveva recuperato dalle Sacre Scritture una profezia secondo cui l’incoronazione di un re nero in Africa avrebbe sancito la fine del colonialismo e l’inizio di una nuova e più fortunata era per tutti i neri cristiani. Quando nel 1930 venne incoronato Ras, cioè imperatore d’Etiopia, Tafari Maconnen con il nome di Hailé Selassié, l’evento venne interpretato come la conferma di quella profezia e l’imperatore viene tradizionalmente indicato dai rastafari come il Messia, l’incarnazione di Gesù stesso.
I fondatori del Rastafarianesimo, però, furono tre predicatori giamaicani: H. Archibald Dunkley, Joseph Hibbert e Leonard Howell. Quest’ultimo nel suo libro The Promised Key dichiarò pubblicamente che il Ras Tafari (da cui prese il nome il movimento religioso) era il nuovo Messia e fissò nel suo libro i pilastri della nuova religione rastafari. Il loro testo sacro il Kebra Nagast accoglie il canone biblico etiopico (Antico e Nuovo Testamento) più alcune tradizioni ebraiche, arabe ed etiopiche.
Il Kebra Nagast racconta dell’unione tra il re Salomone e la regina del regno di Saba (che comprendeva, appunto, l’Etiopia) da cui nacque Menelik I a cui fu affidata l’Arca dell’Alleanza in qualità di erede del trono davidico. Secondo questa tradizione, dunque, l’Etiopia sarebbe la nuova terra promessa e lo stesso Ras Tafari l’ultimo discendente di Menelik e in lui, proprio come in Gesù, si compirebbero le promesse divine.
Il Rastafarianesimo si è diffuso inizialmente in Etiopia e in Giamaica, terra d’origine dei tre predicatori che hanno contribuito a spargere la religione rasta negli Stati Uniti tra le comunità afroamericane. Nel corso del XX secolo, poi, si estese anche in tutta Europa, India e in molti altri territori di cultura cristiana (e non solo).
Dottrina ed evoluzione della religione rasta
Tutti siamo abituati ad una serie di stereotipi veicolati dalla cultura di massa. Dreadlocks, marijuana, musica raggae, magliette con le bandiere giamaicana spesso fanno storcere il naso a molti di noi. Eppure questi sono soltanto i segni esteriori di una cultura molto più complessa e dal profondo significato spirituale.
I rasta, dal punto di vista strettamente religioso, seguono il Cristianesimo. Leggono la Bibbia, credono nei Dieci Comandamenti e nella politica di non violenza, amore e solidarietà verso il prossimo predicata nei Vangeli. Inoltre, sono contrari a qualsiasi forma di estremismo religioso, ideologico e politico ed estremamente tolleranti nei confronti di ogni altra religione o filosofia di vita. Lo stesso imperatore Selassié, infatti, aveva specificato che tutte le religioni godono di una certa «parentela spirituale» in quanto sono tutte «vie del Dio vivente».
La figura del re Selassié rappresenta, inoltre, un faro per tutti i fedeli rastafari. Alcuni tendono erroneamente a vederli come sovversivi o “ribelli” ma, in realtà, possiedono un enorme senso civico. Sull’esempio del re etiope, si impegnano nella lotta alle discriminazioni, alla guerra e sono favorevoli ad ogni organismo nazionale o sovranazionale che sia in grado di assicurare la pace e la stabilità dei popoli.
Tra i tanti segni distintivi ci sono sicuramente i dreadlocks. Questa peculiare acconciatura che molti interpretano come sinonimo di incuria e trascuratezza ha in verità un significato spirituale molto profondo. Sull’esempio del personaggio biblico di Sansone, la cui forza risiedeva nei capelli, quello dei dreadlocks appare come un “voto”: il fedele rastafari consacra il proprio capo a Dio, promettendogli di mantenerlo “puro” e si astiene quindi dalla tonsura e dalla pettinatura.
Anche l’uso della marijuana affonda le sue radici nelle Sacre Scritture rastafari. Secondo il Kebra Nagast sarebbe un simbolo di saggezza e compare sulla tomba del re Salomone, ma anche nell’Eden e nell’Apocalisse come una pianta in grado di «guarire le nazioni» (Apocalisse 22, 1-4). Il suo consumo rimane, però, esclusivamente terapeutico o meditativo.
La cultura rasta, infatti, guarda con particolare attenzione alla cura del proprio corpo e combatte contro ogni tipo di dipendenza, con lo scopo di mantenersi costantemente in armonia con la purezza della Natura circostante. Molti di loro seguono quella che viene definita una “dieta ital”, cioè vitale in grado di preservare e far aumentare l’energia vitale presente nei nostri corpi. Questa dieta prevede il consumo di cibi più naturali possibile, non lavorati o trasformati.
Vi sono molte altre tradizioni e usanze rastafari ma ciò che colpisce di questa religione è la totale assenza di dogmi o leggi universali. Non ci sono precetti o regole da seguire obbligatoriamente nè “sacerdoti” che devono farle rispettare: ogni fedele è libero di interpretare la propria fede come meglio crede.
Proprio per questo la cultura rasta ha avuto una così grande e capillare diffusione in tutto il mondo. Certo la componente più teologica e religiosa è conservata solo in alcune comunità, mentre nel resto del globo si è tramutata piuttosto in uno stile o filosofia di vita. Grazie anche alla mediazione di grandi artisti come Bob Marley che ha inglobato nella sua musica molti dei principi rastafari, oggi il messaggio di pace, solidarietà e apertura verso il prossimo e verso il mondo che ci ospita si è sparso in tutto il mondo. Un messaggio davvero universale tanto che, potremmo quasi azzardarci a dire che, forse non sarebbe poi tanto male se fossimo tutti un po’ più… rasta.