Ricordi caro lettore questi versi di Eugenio Montale, Premio Nobel per la letteratura nel 1975?
Spesso il male di vivere ho incontrato/ era il rivo strozzato che gorgoglia,/ era l’incartocciarsi della foglia/ riarsa, era il cavallo stramazzato./
Bene non seppi, fuori del prodigio/ che schiude la divina indifferenza:/ era la statua nella sonnolenza/ del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato./
Io li ricordo bene e penso di non essere la sola. E ricordo quanto e come mi hanno accompagnata per un certo periodo della vita. E di certo non sarò stata l’unica a sentirli profondamente miei. Il male di vivere: chi non conosce le conseguenze di queste quattro parole messe in fila può ritenersi fortunato. Eugenio Montale le ha conosciute dal momento che nei versi sopra riportati ha usato la parola spesso...
Le immagini che il poeta usa riescono a rievocare, ogni volta che si leggono, quanto dolore ci può essere nel male di vivere, paragonato ad un rivo strozzato, all’incartocciarsi di una foglia riarsa, allo stramazzare di un cavallo. Anche la scelta dei termini, la durezza delle z, delle c vicino alle t, delle r accoppiate alle s, ne rievoca l’asprezza.
Un poeta vero sa scegliere ed accoppiare parole usuali per descrivere in maniera inusuale il suo male di vivere e ne fa emblema di tutti i mali di vivere del mondo. La poesia, quella vera, quella alta, sa trovare accostamenti e similitudini che a volercisi addentrare, stupiscono per come colgono la vera essenza delle cose. Non dico niente di nuovo se affermo che Eugenio Montale è uno dei massimi rappresentanti della poesia non solo italiana ma internazionale, non a caso Premio Nobel per la letteratura.
Si studia ancora Eugenio Montale?
Ho incontrato Eugenio Montale, premio Nobel 1975, fra i banchi di scuola, complice un professore di italiano dalle idee aperte e dalla cultura vivace e curiosa che, oltre ai programmi scolastici, faceva spaziare i suoi alunni sul moderno e modernissimo, cosa non rara ai tempi in cui ho frequentato le superiori: niente a che vedere con i programmi scolastici di oggi che hanno impostazioni da brivido per l’anacronismo che presentano… Questa però è un’altra storia che qui non mi compete raccontare.
Sulla ragazzina che sono stata, come sull’adulta che sono, i poeti hanno sempre esercitato un fascino non indifferente: spaziavo da Bukowski a Quasimodo passando per Boudelaire come niente fosse, poteva essere diverso per Eugenio Montale? Chiaramente no. Conoscerlo e apprezzarlo è stato un attimo. Soprattutto per ciò che ha rappresentato nella letteratura italiana e in poesia.
Eugenio Montale ha incarnato l’uomo normale, l’uomo della strada, con le sue problematiche, le sue angosce e il suo male di vivere. Ha incarnato quella normalità contrapposta al mito del superuomo, imperante nel suo tempo. Un uomo-poeta con le sue fragilità che rifugge dalle grandi imprese tipiche del periodo fascista, che sconfessa l’uso aulico dei versi, che rinnega la poesia accademica e si rifugia nel mondo semplice, quello fatto di cose usuali da cantare ed elevare a poesia.
Ascoltami, i poeti laureati/ si muovono soltanto fra le piante/ dai nomi poco usati: bossi, ligustri, o acanti./ Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi/ fossi dove in pozzanghere/ mezzo seccate agguantano i ragazzi/ qualche sparuta anguilla;/ le viuzze che seguono i ciglioni,/ discendono tra i ciuffi delle canne/ e mettono negli orti, tra gli alberi i limoni./ […]
Il solo fatto di dichiararsi lontano dai poeti laureati, che devo dirti caro lettore, lo ha reso “simpatico” alla ragazzina che ero e lo rende più che apprezzabile ancora alla donna che sono. Sarà forse per una mia naturale avversione a tutto ciò che è pomposo, solenne, aulico, prosaico e illustre, sarà che all’eleganza dei bossi e degli acanti preferisce l’asprezza dei limoni, sarà che ama le strade che riescono agli erbosi/ fossi dove in pozzanghere/ mezzo seccate agguantano i ragazzi/ qualche sparuta anguilla… Sarà tutto questo messo insieme che rende Eugenio Montale umano rispetto ai poeti laureati e lo eleva di un gradino sugli altri autori di quel periodo.
Non so se nella scuola di oggi Eugenio Montale si studia ancora, se non è così si priva una generazione della conoscenza di un poeta attualissimo.
La modernità di Eugenio Montale
E che dire di versi come quelli di Meriggiare pallido e assorto che mi accompagnano da anni negli afosi pomeriggi estivi, anche se non ho più il muro d’orto che mi ha visto ragazzina?
Meriggiare pallido e assorto/ presso un rovente muro d’orto,/ ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi./ […] Osservare tra frondi il palpitare/ lontano di scaglie di mare/mentre si levano tremuli scricchi/ di cicale dai calvi picchi./E andando nel sole che abbaglia/ sentire con triste meraviglia/com’è tutta la vita e il suo travaglio/in questo seguitare una muraglia/che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Le assonanze e le consonanze di questi versi, la durezza delle consonanti che sembrano stridere, rendono vive e palpitanti le immagini e quasi si sentono pungere sulla pelle i cocci aguzzi di bottiglia, come si percepisce in un doloroso itinere, la muraglia, tutta la vita e il suo travaglio... Era così nel 1925, è così ancora oggi. E così sarà in seguito perchè non esiste tempo quando si parla di vera poesia.
Montale: apparente semplicità
La semplicità apparente dei versi montaliani, nasconde in realtà un’analisi introspettiva che in qualche modo anticipa i tempi moderni. Quando Eugenio Montale usa già in Ossi di seppia, raccolta di poesie del 1925, un linguaggio che pesca dalla natura metafore, simboli e similitudini per estrinsecare e rendere manifesto il suo mondo interiore, ha realizzato quella trasposizione che è tipica della poesia moderna (e non).
La consapevolezza del male di vivere resa visibile attraverso versi scarni, altamente simbolici, accompagnerà Eugenio Montale in tutta la sua produzione poetica, anche quando in età più matura pubblicherà Le occasioni, 1939, o La bufera e altro, 1956. Cambieranno e matureranno la ricerca stilistica e, in alcuni casi, la metrica ma non cambierà l’essenza della sua poetica, sempre mirata all’analisi introspettiva attraverso l’osservazione del mondo circostante.
I critici, quelli con la K, che penso non dovevano essergli molto simpatici, definirono correlativo oggettivo la tecnica simbolica di Montale: in altre e più semplici parole correlativo oggettivo non significa altro che mettere in relazione il mondo circostante con il sentire interiore. E spero che raccontare così terra-terra un grande poeta non provochi terremoti nel loculo che lo ospita.
D’altro canto il nome di questa rubrica è Autori in tasca… Ed è così che ho voluto raccontarti Eugenio Montale, esattamente come me lo sono ritrovato nella tasca della memoria, quella dove si conservano i ricordi più cari.