Distesa estate,/ stagione dei densi climi/ dei grandi mattini,/ dell’albe senza rumore /- ci si risveglia come in un acquario -/ dei giorni identici,astrali,/ stagione la meno dolente/ d’oscuramenti e di crisi,/ felicità degli spazi,/ nessuna promessa terrena/ può dare pace al mio cuore/quanto la certezza di sole/ che dal tuo cielo trabocca;/
stagione estrema, che cadi,/ prostrata in riposi enormi;/ dai oro ai più vasti sogni,/ stagione che porti la luce/ a distendere il tempo/ di là dai confini del giorno,/ e sembri mettere a volte/ nell’ordine che procede/ qualche cadenza dell’indugio eterno. (Vincenzo Cardarelli, Estiva)
Le parole sull’estate non si contano, ne sono state scritte tantissime, in poesia e in prosa, dagli autori di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Nel mio piccolo ho sempre associato l’estate, in rapporto alle stagioni della vita, alla maturità, stagione di consapevolezze acquisite e di grandi potenzialità: la stagione in cui tutto risplende, realmente e metaforicamente, in cui nessuna promessa terrena/ può dare pace al mio cuore/quanto la certezza di sole/ che dal tuo cielo trabocca;/ proprio come scrive Vincenzo Cardarelli, nei versi che hai letto sopra.
Estate e ricordi
Ho dell’estate un concetto che rappresenta la piena libertà, fin quando da bambina finiti gli impegni scolastici, mi sentivo di libera e in diritto di scorrazzare per strade e vicoli, per prati e campi, leggera e libera dai vestiti pesanti che mal sopportavo, perché mi impedivano di gustare i raggi del sole e le carezze del vento sulla pelle.
Dalle mie parti l’inverno è lungo, la Sicilia interna, in inverno, ha ben poco dell’isola du suli e du mari, come recita l’iconografia classica e la neve visita spesso i monti. L’estate arriva, ora come allora, ad asciugare tutte le umidità, a scaldare tutto il freddo e a consentire quella leggerezza che la stagione invernale nega.
I miei lunghi pomeriggi estivi di bambina, conoscevano campi come mari gialli da percorrere correndo a perdifiato, muretti da scalare come onde marine da saltare, alberi maestri di navi immaginarie sui quali arrampicarsi e formiche affaccendate intorno a formicai da osservare per ore, mentre il canto infinito delle cicale riempiva l’aria e il tempo scorreva lento fra le fronde degli alberi, larghe e ombrose come ombrelloni sulla spiaggia.
I pomeriggi di allora, quando il mare era meta quasi sconosciuta e lontana, a volte assomigliavano anche a quelli di Montale, pallidi e assorti… Perchè la malinconia, il distacco, l’inclinazione a riflettere, ad osservare e a cogliere le più strane analogie fra le cose, a volte, succede sia insita nell’anima anche dei bambini più vivaci e scatenati.
Nelle crepe del suolo o su la veccia/ spiar le file di rosse formiche/ ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano/ a sommo di minuscole biche./
Osservare tra frondi il palpitare/ lontano di scaglie di mare/ mentre si levano tremuli scricchi/di cicale dai calvi picchi./
Quelle estati però non avvertivano ancora le ferite di cocci aguzzi di bottiglia che la sorte regala andando nel sole che abbaglia. Arrivano dopo a pungere, arrivano con triste meraviglia, in questo seguitare, arrivano rinserrate nelle muraglie che le vicende della vita pongono ad ostacolare il cammino ordinato dell’esistenza.
E andando nel sole che abbaglia/ sentire con triste meraviglia/ com’è tutta la vita e il suo travaglio/ in questo seguitare una muraglia/ che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. (Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto)
E state, d’estate, in poesia
Estate dopo estate, scorre il nostro tempo, lo sentiamo passare sulla pelle, lo vediamo in ogni nuova piega del viso che l’abbronzatura nasconde, lo leggiamo negli occhi chi ci vive accanto che, come noi, nelle sere blu d’estate sente freschezza e non ha pensieri, tacendo nel profondo. Perché l’estate induce a scrollarsi di dosso affanni e preoccupazioni quasi come quei vestiti pesanti che da bambina, non vedevo l’ora di togliere ma che puntualmente, ritornano ad ogni autunno.
Le sere blu d’estate andrò per i sentieri/ graffiato dagli steli, sfiorando l’erba nuova:/ ne sentirò freschezza, assorto nel mistero./ Farò che sulla testa scoperta il vento piova./ Io non avrò pensieri, tacendo nel profondo:/ ma l’infinito amore l’anima mia avrà colmato,/ e me ne andrò lontano, lontano e vagabondo,/ guardando la Natura, come un innamorato. (Arthur Rimbaud, Sensazione)
E state e stiamo così, laddove si sta insieme, sospesi per i tre mesi estivi, tra mare, miraggio di fluide carezze, profumi di tigli odorosi e pulicaria nell’aria: i poeti sanno come trovare le giuste parole ed esprimerli in versi haiku, anche se vivono in tutt’altra latitudine, come Filippo Giordano in Minuetti per quattro stagioni, dove con figure veloci e lievi, in piccoli componimenti musicali e senza titolo, solamente numerati, in due strofe e sei versi, il poeta da l’avvio allo spartito del tempo.
Tigli odorosi,/ di giorni caldissimi/ invocate ombre./ Mare, miraggio/ di fluide carezze,/ amaca azzurra./ (13)
Dalla campagna/ odore secco e intenso/ di pulicaria./ Fresca e improvvisa,/ benvenuta risata/ l’acqua scrosciante./ (14)
Portano a spasso/ cosce lunghe abbrunate/ le donne in strada./ Se cerchi Aldo/ laddove si sta insieme/ egli bene sta./ (15)
Breve l’estate…
Breve l’estate, il suo caldo abbraccio dura appena il tempo di realizzare che il sogno di vivere soltanto di sole e aria svanisce ai primi temporali, quando le rondini immote e fradice sui fili, spiano cenni e arcani di partenza … E poi arriva il freddo a scuoterci dall’incanto, a decretare la sua fine.
Piovve tutta la notte/ sulle memorie dell’estate./ Al buio uscimmo/ entro un tuonare lugubre di pietre/ fermi sull’argine reggemmo lanterne/ a esplorare il pericolo dei ponti./ All’alba pallidi vedemmo le rondini/ sui fili fradice immote/ spiare cenni arcani di partenza/ e le specchiavamo sulla terra/ le fontane dai volti disfatti. (Fernanda Pivano, Morte di una stagione)
Noi, che d’estate risorgiamo dai letarghi di freddi e lunghi inverni, noi la amiamo, la desideriamo, la aspettiamo anno dopo anno, come cicale nel sole, ammirando le stelle perse a milioni nel blu dei sereni cieli estivi.
Cicale, sorelle, nel sole/ con voi mi nascondo/ nel folto dei pioppi/ e aspetto le stelle. (Salvatore Quasimodo, Estate)