Chi era veramente Dora Ratjen? Difficile capirlo ma la sua è una storia che vale la pena ricordare se non altro per restituirle la giusta dignità di persona ancor prima che di atleta. Non parlo di un passato recente, tornare indietro nel tempo significa cambiare mentalità, guardare la realtà con occhi diversi, comprenderne i limiti e le contraddizioni, senza sorprendersi se davanti alle diversità le reazioni dell’epoca possono sembrare assurde. In verità, se dovessimo fare un esame di coscienza, ci accorgeremmo quanto, ancora oggi, sia forte il senso d’intolleranza che si respira e siamo nel 21° secolo.
Il nostro salto temporale ci riporta questa volta agli anni trenta, in una Germania dove il vento nazionalista del Fhurer soffia forte con tutta la prepotenza critica nei riguardi di razze inadeguate e impure. Il dittatore si prepara ad organizzare le Olimpiadi e le regole sono chiare. Tra le righe di questa storia, se pur all’apparenza ingannevole, si legge l’incapacità di accettare chi non rientra nei canoni della normalità, soffocando la natura, educando alla discriminazione che nasce nel contesto famigliare prima ancora che nella società. e così fu per Dora Ratjen
Dora Ratjen, la sua storia
Siamo nel 1918 a Ericshof un paesino vicino Brema, in una tranquilla ma umile famiglia viene alla luce un bambino, bello e forte, almeno così era sembrato alla levatrice che aveva assistito al parto eppure dopo pochi minuti confessò di non esserne poi così sicura. Ad un esame più approfondito, anche al medico di famiglia, più confuso che persuaso, i genitali del nascituro davano l’idea che fossero di “sesso ambiguo“.
Nell’indecisione, i genitori del piccolo, lo considerano una femmina registrandola con un nome femminile. Colpito a nove mesi da una polmonite, il bambino fu portato da un medico per una visita e in quell’occasione il padre, a dire il vero, preoccupato, chiese un parere sui genitali del figlio che nel frattempo si stavano lentamente trasformando. La risposta fu alquanto evasiva e di rassegnazione e così il piccolo continua a crescere con le tre sorelle maggiori.
Col passare degli anni, Dora Ratjen inizia a mostrare i tipici caratteri maschili, cresce la peluria, la barba, la struttura del corpo si rinforza, nonostante tutto nessuno “voleva vedere” e così Dora, questo il nome dato alla nascita, cresce nascondendo la sua vera natura. Si depila ogni due giorni, evita di indossare il costume da bagno, si priva delle distrazioni tipiche delle ragazze della sua età, sviluppando una personalità solitaria e molto riservata.
Quando nel ’34 scopre di poter fare dello sport non le sembra vero anche se, in effetti, la sua avventura agonistica durerà solo quattro anni. Dora comincia ad allenarsi, le sue caratteristiche fisiche e la forza esplosiva la dirigono verso il salto in alto. All’epoca l’asticella non si superava certo con il metodo Fosboury, ancora in vigore; il salto veniva effettuato in sforbiciata frontale e questo significava avere una elevazione e una capacità di stacco da terra enorme. Nel frattempo partecipa e vince i campionati regionali della Bassa Sassonia, notata dai formatori viene subito convocata e inserita nella squadra olimpica tedesca alle prese con la più grande organizzazione storica delle Olimpiadi alle quali avrebbe presenziato perfino Hitler.
Dora Ratjen non è la sola a gareggiare nel salto in alto, le memorie sportive ricordano molto bene una certa Gretel Bergmann, sua compagna di stanza in più di una competizione; sarà lei stessa a dichiarare di non essersi mai accorta della doppia personalità della sua collega. Nonostante la bravura Gretel era stata esclusa perché ebrea e per essere subito trasferita in Inghilterra con tutta la famiglia proprio a causa delle leggi razziali. Per non assoggettarsi al Fuhrer il Comitato Olimpico impone alla Germania di riammettere l’ebrea ma, nonostante un apparente consenso, una volta tornata in patria, la Bergmann rimane fuori dai giochi perchè, “non rientra nei limiti sufficienti per partecipare”.
Dora Ratjen diventa Heinrich Ratjen
Tolta di mezzo la saltatrice ebrea, Dora entra di diritto nella squadra olimpica ma in gara non superò più di 1,58 conquistando solo il quarto posto. Nel ’38, a 20 anni, ai campionati europei di Vienna, l’atleta stabilisce il nuovo primato del mondo superando in sforbiciata l’asticella a 1,78, ma sarà la sua ultima gara.
Tornando proprio dalla gara di Vienna, viene segnalata da due donne che avevano notano con disappunto la barba e i baffetti nonostante vestisse con un completo grigio, calze color carne e scarpe chiare. Alla stazione di Magdeburgo scende per sgranchirsi le gambe ma si sente osservata in modo insistente da un signore completamente vestito di scuro che si avvicina chiedendole i documenti. Il 21 novembre del ’38 Dora viene arrestata e accusata di frode sportiva; la sua dichiarazione fu pressapoco questa:
Ho indossato vestiti da ragazza dalla mia infanzia in poi. A partire da 11-12 anni, ho cominciato a essere consapevole che non ero una donna ma un uomo. Ma non ho mai chiesto ai miei genitori perché, pur essendo un uomo, dovessi indossare abiti femminili”
L’ispettore scelto Sömmering, inviato dal governo per capire la situazione, la osserva con cura e la ispeziona da capo a piedi; Dora viene spogliata,controllata e fotografata nuda. ” Die Katze ist aus dem Sack“. Il gatto è uscito dalla scatola, disse. “Sì, è possibile che io sia un uomo“
Che fosse un uomo, lo dicono le foto fatte dai gendarmi. Le conseguenze si possono immaginare; le fu tolta la medaglia d’oro, annullati tutti i record e la carriera sportiva distrutta.
Per cercare a loro modo di riabilitarla, si decise il ricovero per un mese in una clinica psichiatrica, accettarono di risparmiargli l’Olocausto riservato ai transessuali e una volta fuori dalla clinica Dora diventa Heinrich Ratjen, una scelta accolta dal giovane come la fine di un vero e proprio incubo. In seguito Heinrich diventa Heinz, per dimenticare un passato che in qualche modo lo aveva travolto e privato della libertà di essere se stesso. Torna a Brema, dove finalmente da uomo, ricomincia a vivere aiutando il padre nel bar di famiglia.
Alla nascita, se lo si vuole analizzare, si era sviluppata una ipospadia, che insieme al criptorchidismo, ossia la mancata discesa dei testicoli nel sacco scrotale, avevano convinto la levatrice che Dora fosse una femmina, una condizione che, ora come ora, si sarebbe potuta correggere asportando uno dei due organi genitali.
Mi chiedo quanta sofferenza e quanto disagio deve aver provato Dora Ratjen a convivere con un segreto così forte. Ma è davvero sua la responsabilità? L’unica verità è che Heinrich o Dora come vogliamo chiamarla, non è stata libera di scegliere chi e cosa essere, costretta a vivere come una femminuccia con trecce, vestitini e bambole con cui giocare. Nello sport aveva trovato l’unico spiraglio di luce per dare un senso ad una vita consegnata all’ignoranza della gente.
Le ricerche si limitano ad un intervista rilasciata nel 1957 nella quale raccontò tutto, dichiarò di aver partecipato a quella edizione dei Giochi su richiesta della gioventù hitleriana, ammettendo di aver partecipato “per la gloria della Germania”, dopodiché di lui non si è più saputo nulla se non il giorno della sua morte avvenuta a novant’anni a Brema, il 22 aprile del 2008.
Eppure, cercando bene negli archivi del Comitato Olimpico Internazionale il nome che ancora compare tra gli atleti rimasti alla storia partecipanti alla gara di salto in alto delle Olimpiadi di Berlino nel 1936, è quello di Dora la sua prestazione e il suo quarto posto. La sua rivincita sul mondo.