Per il centenario della nascita di Don Milani, abbiamo pensato di ricordarlo con la sua celebre Lettera a una professoressa. Il trattatoè stato scritto da Lorenzo Milani con i suoi studenti ed è basato su una polemica all’istruzione italiana che, a quel tempo, privilegiava istruire i bambini provenienti dalle classi sociali agiate, i cosiddetti pierini, ossia “i figli del dottore”.
Lettera a una professoressa di Don Milani
“La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde. La scuola dell’obbligo ne perde per strada 462mila l’anno”
“A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei campi e le fabbriche”.
Erano 150 pagine ben documentate (con dati Istat) che denunciavano una scuola classista, costringendo a discuterne e a ripensarla, a partire dalla prima parte che si intitolava ‘La scuola dell’obbligo non può bocciare’, problema non superato con l’obbligo ora arrivato ai 16 anni. Oggi, che il merito viene sbandierato sin nel nome del ministero competente, ci sembra tutto questo torni di grande attualità e speriamo che il centenario della nascita di Don Milani, che cade il 27 maggio, serva a riportarlo all’attenzione generale.
La lezione di Milani non è poi solo qui, se di attualità risulta anche, in questo periodo di guerra e di nuove minacce atomiche, la difesa che fece degli obiettori di coscienza dal servizio militare in L’obbedienza non è più una virtù del 1965, in cui sottolineava che ognuno è responsabile di quel che fa, anche se esegue ordini superiori, e poi metteva in guardia dalle “armi attuali che mirano direttamente ai civili” e da “una simile guerra” alla quale “mi pare coerente dire che il cristiano non potrà partecipare nemmeno come cuciniere”, senza contare che oramai “è in gioco la sopravvivenza della specie”, per cui insegnava ai suoi ragazzi che “se un ufficiale desse loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura”. Per questo fu rinviato a giudizio per apologia di reato.
Le sue ‘Esperienze Pastorali’, pubblicate nel 1958, che invitavano a una profonda trasformazione della Chiesa, di cui aveva contestato anche l’appoggio alla Democrazia Cristiana, furono ritirate dal commercio per iniziativa del Sant’Uffizio.
Don Milani morì a 44 anni il 26 giugno 1967 di un linfoma maligno e, sul letto della sua agonia, correggeva coi ragazzi, pregandoli di togliere il suo nome come autore, quella ‘Lettera a una professoressa’ che di lì a poco sarebbe divenuta un punto di riferimento tra studenti e intellettuali (a cominciare da un entusiasta Pier Paolo Pasolini) e avrebbe dato fama internazionale a lui e Barbiana che, appunto, ancora oggi siamo a celebrare e scoprire come sia attuale. Nel 2017 due volumi dei Meridiani Mondadori hanno raccolto tutte le sue opere, compreso l’epistolario privato e tanti scritti sparsi.
La vita di Don Milani
Lorenzo Milani è nato il 27 maggio 1923 a Firenze in una famiglia colta e agiata. Suo padre era un chimico appassionato di letteratura, mentre sua madre, di origine ebraica boema, era una donna estremamente colta che aveva avuto contatti con personalità come James Joyce e studiato Sigmund Freud. Anche il nonno paterno di Lorenzo era un professore di archeologia e numismatica, mentre il bisnonno, Domenico Comparetti, era un rinomato filologo e senatore.
Lorenzo è cresciuto in questo ambiente culturalmente ricco insieme ai suoi due fratelli, Adriano ed Elena. La famiglia era agnostica e di cultura laica.
Quando Lorenzo aveva sette anni, nel 1930, la famiglia si trasferì da Firenze a Milano a causa della crisi economica che aveva colpito anche la loro famiglia benestante. Il padre accettò un incarico dirigenziale in un’azienda a Milano, che divenne la città in cui Lorenzo trascorse parte della sua infanzia e adolescenza. A causa dell’ascesa del nazismo in Germania e delle minacce antisemite nell’Italia fascista, i genitori di Lorenzo decisero di sposarsi con un rito religioso in chiesa e di far battezzare i figli.
Lorenzo Milani non era uno studente particolarmente brillante e, nonostante l’iscrizione al Liceo Berchet di Milano, non eccelleva negli studi. Decise di rompere con la tradizione di famiglia e non si iscrisse all’università dopo aver ottenuto il diploma. Questa scelta fu accolta con grande difficoltà in famiglia, creando numerosi contrasti e litigi tra Lorenzo e suo padre. Tuttavia, Lorenzo e sua madre mantennero un rapporto molto stretto per tutta la vita, nonostante un iniziale disaccordo.
Appena diplomato, nel 1941, Lorenzo si trasferì a Firenze per frequentare lo studio del pittore Hans Joachim Staude. Nell’autunno dello stesso anno, tornò a Milano per iscriversi all’Accademia di Brera, dove seguì i corsi fino alla primavera del 1943.
A causa della guerra e del fascismo, la famiglia decise di abbandonare Milano e ritornare a Firenze, sperando che la città fiorentina sarebbe stata risparmiata dai bombardamenti.
La conversione al Cattolicesimo
Durante questo periodo, Lorenzo prese una decisione radicale: si convertì al cattolicesimo. Nel giugno del 1943, l’arcivescovo di Firenze, Dalla Costa, lo confermò nella fede cattolica. Pochi mesi dopo, entrò in seminario. Era molto critico nei confronti degli aspetti esteriori di alcuni riti religiosi e riteneva che la vita religiosa dovesse essere caratterizzata da una rigorosa ricerca interiore della verità. Le circostanze storiche, come la guerra e il fascismo, insieme alla sua consapevolezza dell’origine estremamente privilegiata da cui proveniva e dalla quale voleva liberarsi, lo portarono ad assumere posizioni radicalmente critiche nei confronti dell’ingiustizia sociale e dell’autoritarismo. Nel luglio del 1947, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Lorenzo Milani fu ordinato sacerdote.
Il suo primo incarico fu come cappellano nella parrocchia di San Donato a Calenzano, un piccolo paese tra Prato e Firenze. Qui fondò la sua prima scuola popolare, un istituto gratuito aperto agli operai e ai contadini. Durante questo periodo, Lorenzo sviluppò riflessioni fondamentali sulla lingua e sull’insegnamento. Riteneva che padroneggiare la lingua fosse uno strumento primario e imprescindibile per combattere per l’uguaglianza e superare le ingiustizie sociali. L’istruzione, secondo lui, rappresentava uno strumento politico di emancipazione individuale e collettiva.
Le sue posizioni radicali gli procurarono non solo critiche, ma anche un trasferimento. Infatti, durante le elezioni amministrative del 1951 e poi durante quelle politiche del 1953, Lorenzo non rispettò la direttiva del Vaticano di non votare in modo contrario alla Chiesa, ma sostenne pubblicamente la libertà di voto, affermando che ognuno avrebbe dovuto votare secondo coscienza. Questa posizione fu considerata estremamente provocatoria dalla Chiesa, e Lorenzo fu costretto ad abbandonare Calenzano, venendo trasferito nella remota località di Barbiana nell’autunno del 1954.