Il 26 aprile 1986 un tragico evento ha sconvolto il mondo intero, il disastro nucleare di Chernobyl. Dopo 36 anni si continua a parlarne, non solo per la catastrofe, ma anche per tutto quello che sta succedendo in Ucraina. Più di una volta le truppe russe hanno messo in pericolo l’area di Chernobyl, già abbastanza instabile.
Il disastro nucleare di Chernobyl: un passo indietro
Il nome di Chernobyl divenne famoso in tutto il mondo dopo il 26 aprile del 1986 quando, nella locale centrale elettronucleare, si verificarono due conseguenti esplosioni che provocarono l’immediata morte di 31 persone e fecero scoperchiare il tetto disperdendo nell’atmosfera grandi quantità di vapore contenente particelle radioattive. Durante l’esecuzione di un test di simulazione di guasto al sistema di raffreddamento del reattore numero 4, per un errore degli operatori, guidati dall’ingegnere Valerij Chodemčuk, le barre di uranio del nocciolo del reattore si surriscaldarono per davvero (raggiungendo un picco di valore pari a 100 volte quello stabilito) provocando la fusione del suo cuore.
Nei giorni successivi al disastro nucleare di Chernobyl, centinaia di migliaia di persone furono costrette a lasciare le proprie case, abbandonando città, villaggi e campi coltivati. Oggi la zona di esclusione, detta anche di alienazione, copre una superficie di 2500 km2.
Le autorità che prestarono soccorso non erano preparate ad un evento così catastrofico. I pompieri a disposizione della Centrale erano soltanto 14. Si gettarono letteralmente nel fuoco, senza alcuna tuta di protezione. Le radiazioni bruciarono rapidamente tutte le loro cellule vitali. Cinque ore dopo arrivarono i rinforzi: 250 uomini disponibili, 69 operativi. Moriranno tutti. L’incendio continuò ad autoalimentarsi e, il 4 maggio, il nucleo del reattore, ormai completamente fuso, iniziò a sprofondare nella terra, rischiando di far entrare in contatto la grafite in fusione con la falda acquifera sottostante e provocare un’esplosione termonucleare.
Per evitare questo, 400 minatori della regione del Donets’k furono costretti a scavare sotto la Centrale un tunnel per portare dell’azoto liquido che, dopo l’evaporazione, potesse saldare la terra con il cemento e formare una sorta di cuscino per isolare il reattore.
Per portar via le macerie si cercò dapprima di utilizzare dei robot tedeschi, giapponesi e sovietici. Ma i loro sistemi elettronici andavano in tilt rapidamente a causa del livello estremamente elevato delle radiazioni. Fu quindi presa la decisione di usare gli uomini: dei “robot biologici”. Una sirena ululava all’inizio e alla fine di ogni intervento, che doveva durare meno di un minuto. Quanto bastava per ricevere una dose di radiazioni pari, se non superiore, al massimo ammesso per l’intera durata della vita umana.
Il reattore distrutto fu, nel mese di novembre, ricoperto da una struttura di contenimento in Bario, chiamata “Sarcofago”.
I libri che raccontano di Chernobyl e del popolo costretto a scappare
Questo libro non parla di Cernobyl’ in quanto tale, ma del suo mondo. Proprio di ciò che conosciamo meno. O quasi per niente. A interessarmi non era l’avvenimento in sé, vale a dire cosa era successo e per colpa di chi, bensì le impressioni, i sentimenti delle persone che hanno toccato con mano l’ignoto. Il mistero. Cernobyl’ è un mistero che dobbiamo ancora risolvere… Questa è la ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti. Per tre anni ho viaggiato e fatto domande a persone di professioni, destini, generazioni e temperamenti diversi. Credenti e atei. Contadini e intellettuali. Cernobyl’ è il principale contenuto del loro mondo. Esso ha avvelenato ogni cosa che hanno dentro, e anche attorno, e non solo l’acqua e la terra. Tutto il loro tempo. Questi uomini e queste donne sono stati i primi a vedere ciò che noi possiamo soltanto supporre… Più di una volta ho avuto l’impressione che in realtà io stessi annotando il futuro.
Dietro una catastrofe si nasconde sempre una storia umana. Come reagiresti se da un momento all’altro fossi obbligato ad abbandonare tutto quello che hai? Questa è la storia di una delle tante famiglie che dopo il terribile incidente di Cernobyl’ lasciarono le proprie case convinte di ritornare nel giro di qualche giorno. Era però troppo tardi: un nemico invisibile si era impossessato delle loro cose, delle loro abitazioni, delle loro terre ed era pronto a rimanere lì per molto tempo. Sono passati trent’anni da quel 26 aprile 1986, ma è niente se confrontato con le decine di migliaia di anni in cui i residui nucleari rimarranno attivi. Questo è un omaggio a quelle persone che hanno subito le conseguenze dell’energia nucleare fuori controllo. Lontani dal facile sensazionalismo e dalla polemica, Francisco Sànchez e Natacha Bustos osservano a distanza, con le lenti della finzione, le storie di vita dei loro personaggi, offrendo al lettore un invito a comprendere, indagare e riflettere su ciò che Cernobyl’ ancora oggi rappresenta.
Volume fotografico. A 20 anni dal disastro nucleare di Chernobyl, circa 7 milioni di persone sono ancora esposte al rischio contaminazione. La centrale nel 2000 è stata chiusa, ma rimane una bomba ad orologeria per l’intera umanità. ”Chernobyl e’ una parola che vorremmo cancellare dalla nostra memoria, ma questo sogno ci e’ precluso” (Kofi Annan, segretario generale O.N.U.)