Leggere Daughter of the Moon Goddess di Sue Lynn Tan, pubblicato negli Stati Uniti da Harper Collins, è stato come fare un giro sulle montagne russe. Un secondo regna la tranquillità assoluta, quello dopo la sala da ballo è presa d’assalto. Personaggi mutevoli, segreti rivelati. Insomma, c’è proprio di tutto.
Nata in Malaysia, ha studiano a Londra e in Francia, prima di trasferirsi a Hong Kong, dove vive tutt’ora con la famiglia.
Xingyin, la ragazza che viene dalla Luna
Da che ha memoria, Xingyin ha sempre vissuto in un palazzo bianco e d’argento, in cui di notte riverberano le luci delle mille lampade che sua madre accende. Da bambina non si rende conto di cosa sia la solitudine, non si accorge di quanto sia strano che Chang’e, la Dea della Luna, non riceva mai nessuna visita. Eppure Xingyin è felice, adora suonare e ama la madre con tutto il cuore.
Tuttavia, il destino ha altri piani. Basta un piccolo sgarro, basta che la giovane allunghi una mano verso quelle scintille argentate che le sfarfallano dietro le palpebre, perchè la loro quotidianità venga distrutta, svanisca come impronte sulla sabbia al sopraggiungere delle onde.
La Dea della Luna non lascia mai il suo palazzo argentato perchè vi è legata da un vincolo divino, una punizione per aver trasgredito agli ordini dell’Imperatore Celeste. L’esistenza stessa di Xingyin è un crimine. Alla giovane non rimane altro che salire sulla nuvola magica della sua balia e lasciare che la porti lontano da casa, in regni in riva al mare.
Tuttavia, si sa, nessun viaggio è senza imprevisti.
Daughter of the Moon Goddess di Sue Lynn Tan: la mia recensione
Daughter of the Moon Goddess di Sue Lynn Tan è un romanzo che mi ha affascinato, soprattutto per un fatto, che può sembrare contraddittorio, ma che per me – lettrice seriale che ormai spesso intuisce scatti di trama già all’inizio del volume – lo distingue dalla moltitudine di libri in qualche modo simili: non ho ancora deciso quanto mi sia piaciuto.
Molto probabilmente questa sensazione nasce dall’essere un’esperienza di lettura recente, che non ha ancora avuto la possibilità di decantare e sedimentarsi bene. Quindi mi trovo nella scomoda situazione di avere ancora l’amaro in bocca per alcuni sviluppi della storia (perchè io tifavo fortemente per una coppia, ma chissà), e allo stesso tempo di non riuscire a smettere di parlarne. E più ci ripenso, più lo racconto, e più mi rendo conto di che forse, sì, mi è piaciuto parecchio. Magari non uno di quei libri davvero mitici, ma comunque molto bello.
Le descrizioni delle ambientazioni, dei palazzi, di abiti e accessori, delle scene d’azione o di quelle più mondane, sono spettacolari. Chiare, dettagliate disegnano un mondo splendido, di palazzi dalle colonne dorale e i tetti blu; di dame dalle sete fluenti e i ricami che prendono vita; di lunghissime chiome corvine e fermagli scintillanti. Le parole dell’autrice sono in grado di guidare anche chi è poco pratico del mondo mitologico cinese, in cui la vicenda ha luogo, senza smarrirsi e non cadendo nel tranello di rendere incomprensibile la storia a causa di termini non spiegati o riferimenti troppo complessi.
Lo stile, tuttavia, non mi ha convinto pienamente. Per quanto il tono della voce narrante sia molto simile a quello che Axie Oh utilizza nel suo The girl who felle beneath the sea – che verrà pubblicato ad aprile 2023 da Mondadori con il titolo di La ragazza che cadde in fondo al mare – un po’ antico e con una veste quasi di narrazione fiabesca, nel caso di Sue Lynn Tan ho fatto molta più fatica ad abituarmi. Non si tratta di un problema linguistico (ultimamente leggo più in inglese che in italiano), ma proprio di flusso, di scorrevolezza soprattutto nella prima parte – forse anche perchè si tratta di quella meno movimentata.
Sono stata, invece, molto contenta di scoprire che il tema ricorrente di tutta la vicenda, ciò che muove i passi di Xingyin, che la spinge ad andare avanti e migliorare sia l’amore per se stessa. Non intendo vanità, anzi, ma quell’amor proprio che fa tracciare una linea, che fa dire basta quando le umiliazioni diventano troppe, quando si arriva a un punto tale da rischiare di perdere se stessi.
Che sia appena fuggita dalla Luna, oppure una semplice cameriera in una magione in cui tutti le sono antagonisti, o una compagna leale, Xingyin mette al primo posto la salvaguardia di se stessa. È lei a decidere del proprio futuro, a scegliere le missioni da intraprendere, a decretare cosa sia disposta a fare per raggiungere il proprio scopo. Tutto ciò che ha, l’immagine che riflette lo specchio, è frutto delle sue azioni e dei suoi ideali. È temeraria, ma non nasconde la paura che le congela le membra davanti al pericolo; è coraggiosa, ma sa accettare l’aiuto offertole; non si piega, ma ammette i propri errori.
Insomma, la protagonista di Sue Lynn Tan è una donna vera, non idealizzata o stereotipata.
L’unica mia incertezza ricade sulla relazione amorosa che la vede come protagonista, ma ammetto che in questo caso si tratti semplicemente di una preferenza personale – per quanto non ci siano praticamente somiglianze, è da Edward vs Jacob che i triangoli non mi piacciono. Tuttavia, apprezzo il modo in cui entrambi i sentimenti vengono a formarsi: con il tempo, sulla base di una fiducia e di una conoscenza costruite passo passo, e non nate nell’attimo di uno sguardo.
Le cover sono spettacolari, sia nella versione statunitense che in quella inglese. Trasmettono quel senso di magia e di mistero che la storia emana con ogni parola.
Insomma, vale la pena di leggere Daughter of the Moon Goddess di Sue Lynn Tan perche l’avventura è ricca di colpi di scena, perchè le ambientazioni sono bellissime, perchè Xingyin è una protagonista in cui è facile immedesimarsi – e perchè ci sono i draghi. Inoltre, non è nemmeno necessario aspettare per scoprire il proseguo della vicenda, perchè il seguito, Hearth of the Sun warrior, è già stato pubblicato.
Cosa leggeremo ad aprile?