Dal paradiso dei poeti, posto dove ha stabilito la sua dimora eterna dal Giugno 1968, luogo imprecisato ma riservato, un angolo di cielo dove vanno tutti i poeti passando a miglior vita, Salvatore Quasimodo siciliano d’origine, poeta per scelta e vocazione, osserva il mondo dei vivi e sorride.
Sorride, di quel sorriso consapevole che viene spontaneo a chi ha capito che Ognuno sta solo sul cuor della terra,/ trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera./ Senza drammi, con poche parole asciutte e condensate Quasimodo ha espresso in tre versi il paradigma dell’intera esistenza.
I grandi poeti sono così, quelli Ermetici in particolare, sintetizzano e scelgono parole che come spade sanno trafiggere, proprio come quel raggio di sole penetra e attraversa chi sta solo sul cuor della terra. Come se quel raggio che illumina un solo attimo, desse in quello sprazzo di luce il significato ad un’intera esistenza. Poi è sera. E quando si fa sera si arriva al compimento, al fine ultimo della vita. Visione poco ottimistica? Si, forse. Lui, Salvatore Quasimodo, dal paradiso dei poeti osserva e sorride. Già sapeva. Un poeta, un grande poeta, è anche un po’ profeta.
L’esperienza ermetica e la chiarezza classica
Dal paradiso dei poeti dove risiede adesso, tutto si risolve con la leggerezza di un sorriso: i conflitti, le angosce, le nostalgie per la sua terra, le evoluzioni di una carriera poetica cominciata nel 1930 con Acque e terre, la prima raccolta dove fra gli echi dannunziani e il gusto per quel nitore classico che caratterizzerà la sua opera successiva, si palesa la stoffa di poeta che aderisce alla realtà letteraria del suo tempo ma lo fa in maniera personale ed originale, coniugando stile ermetico e chiarezza classica.
Sorride Salvatore Quasimodo, perchè sa che quei critici (quelli con la K, come mi piace dire) che definirono provinciale la sua opera prima, alla fine si sono ricreduti: un Premio Nobel è un buon motivo per decretare la grandezza di un poeta. Così avvenne nel 1959, con buona pace dei critici, quelli con la K. E poco contano adesso, nel posto in cui si trova gli schemi ordinati che hanno dato alla sua opera: divisa in tre fasi, come un lungo itinerario, che va dai primi esperimenti aderenti all’Ermetismo, alla scoperta dei classici, all’impegno sociale. Poco contano gli schemi e le classificazioni, nel paradiso dei poeti.
Salvatore Quasimodo un ingegnere con la poesia nel cuore
Veniva da studi tecnici ma l’amore per le lettere e la poesia fecero di lui un amante dei classici antichi che tradusse con dovizia e passione, consegnandoli alla storia della letteratura in tutto il loro splendore. E di quello splendore si nutrì Salvatore Quasimodo, fino ad incorporarlo nella sua anima di poeta e nella sua scrittura: la raccolta Nuove poesie che riunisce la produzione dal 1936 al 1942, ne è un valido esempio. Il passato e il presente si fondono e confondono, i templi greci e il suono dello scacciapensieri diventano parte dello stesso sentire, quasi fossero un anticipo di quell’eterno presente che lui adesso vive nel paradiso dei poeti.
E la sua Sicilia, quella terra amata e lasciata, quella terra di splendide tradizioni culturali con i suoi miti e suoi indimenticabili profumi; quella terra con toni e colori ineguagliabili; quel paradiso perduto mitizzato dalla nostalgia del vivere lontano; quella terra splendida e martoriata da atavici sfruttamenti; quella terra forse incapace di gestire il suo destino perchè troppe anime convivono in lei; quella terra di memorie e passioni mai sopite: la sua Sicilia diventa canto e lamento, incanto e disincanto, sogno e incubo:
La luna rossa, il vento, il tuo colore/ di donna del Nord, la distesa di neve…/ Il mio cuore è ormai su queste praterie,/ in queste acque annuvolate dalle nebbie./ Ho dimenticato il mare, la grave/ conchiglia soffiata dai pastori siciliani,/ le cantilene dei carri lungo le strade/ dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,/ ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru/ nell’aria dei verdi altipiani/ per le terre e i fiumi della Lombardia./ Ma l’uomo grida dovunque la sorte d’una patria./
Più nessuno mi porterà nel Sud./ Oh, il Sud è stanco di trascinare morti/ in riva alle paludi di malaria,/ è stanco di solitudine, stanco di catene,/ è stanco nella sua bocca/ delle bestemmie di tutte le razze/ che hanno urlato morte con l’eco dei suoi pozzi,/ che hanno bevuto il sangue del suo cuore./
Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,/ costringono i cavalli sotto coltri di stelle,/ mangiano fiori d’acacia lungo le piste/ nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse./ Più nessuno mi porterà nel Sud./ E questa sera carica d’inverno/ è ancora nostra, e qui ripeto a te/ il mio assurdo contrappunto/ di dolcezze e di furori,/ un lamento d’amore senza amore. (Lamento per il sud da La vita non è sogno, 1949)
La memoria non si cancella nel paradiso dei poeti, un sorriso serve ad alleggerirla, a renderla lieve e meno dolorosa. Sorride impercettibilmente Salvatore Quasimodo, adesso, per quel Lamento: tutto tace e s’acquieta in quel piccolo angolo di cielo, ai vivi restano i conflitti e le battaglie quotidiane, lui è già oltre.
In quell’oltre, nel paradiso dei poeti, egli rimane fisso per sempre: passato alla storia della letteratura, letto e studiato, amato e odiato, capito o incompreso è poeta in eterno. Da quell’angolo di paradiso che accoglie i poeti di tutti i tempi, ci guarda e sorride. Adesso, non ha più bisogno di giorni da chiedere giorni all’Eterno: vive in un eterno presente.
Dammi il mio giorno;/ ch’io mi cerchi ancora/ un volto d’anni sopito/ che un cavo d’acque riporti in trasparenza,/ e ch’io pianga amore di me stesso./ Ti cammino sul cuore, ed è un trovarsi d’astri/ in arcipelaghi insonni,/ notti, fraterni a me/ fossile emerso da uno stanco flutto;/ un incurvarsi d’orbite segrete/ dove siamo fitti/ coi macigni e l’erbe./ (Dammi il mio giorno da Oboe sommerso, 1932)
Un Post Scriptum…
… è doveroso da parte mia: non ti chiedere e non mi chiedere il senso di questo articolo dedicato a Salvatore Quasimodo, forse un senso non ce l’ha, neanche a volerlo trovare come canta Vasco Rossi che con il poeta siciliano c’entra ben poco. L’ho scritto così, come è venuto, quasi di getto, pensando ad un poeta che mi accompagna fin dalle scuole medie, luogo dove lo incontrai per la prima volta.