Cristiana Meneghin ci riporta nel suo racconto L’amore di Gaia presente in Quando il fine non giustifica i mezzi. In questi giorni una favola è un pensiero per te.
>>> SECONDA PARTE<<<
La mamma in punta di piedi si alzò dal letto e cercando di non far rumore chiuse la porta alle sue spalle.
Il corridoio era così lugubre, illuminato solo dai pallidi raggi lunari, avanzando con le mani davanti a sé raggiunse la porta dello studio e finalmente si concesse un lungo sospiro.
Le sue mani sciolsero in un unico movimento lo chignon che raccoglieva i suoi biondi capelli sopra la sua nuca che, come brillanti fili di seta, ondeggiarono nell’aria per deporsi sulle spalle.
Da quando era partito suo marito Luna non poteva più concedersi di andare in giro da sola di notte, purtroppo nella brutta situazione in cui versava il pianeta, temeva che la sua accentuata femminilità avrebbe potuto portarle dei guai.
Gli sguardi troppo insistenti degli uomini le provocavano non poco imbarazzo.
Preparandosi per la notte, godette alcuni istanti nell’osservare la sua figura ancora giovane e bella riflessa nello specchio e si rallegrò nel notare che il trivellare la superficie terrestre alla ricerca di acqua le aveva donato dei muscoli che da ragazzina aveva solo sognato di poter avere.
Indossò la sua tunica bianca e senza ulteriori indugi si sedette davanti alla scrivania su cui non troppi anni prima era solita scrivere le sue storie. Era tutto così diverso ora, eppure non era passato così tanto tempo.
Aprì la conchiglia e felice che la batteria fosse completamente carica con voce tremante fece quello che ormai ripeteva con una costanza solenne: – Mia, mettiti in contatto con l’astronave “Think Different”, postazione 9, matricola 52760. – le sembrava così strano non chiamare suo marito per nome, ma utilizzando un numero di cinque cifre, comunque con la stessa ansia che aveva provato nel petto quando era un’adolescente al suo primo appuntamento attese.
Anche quel giorno, come tutte le altre novantuno sere passate, non accadde nulla. I tu tu si ripeterono all’infinito e alla fine spazientita, disperata e anche un po’ esaurita Luna si rivolse a Mia, la voce robotica della conchiglia, l’apparecchio che il Sistema le aveva regalato per comunicare con il marito: – Mia, puoi dirmi le condizioni generali dell’astronave “Think Different”?
- L’astronave è in ottime condizioni. Si muove a una velocità costante, ha lasciato la nostra galassia da 10 giorni, 34 minuti e 80 secondi. Tutto il suo equipaggio è in vita e il loro arrivo su Uralio è previsto tra 6 giorni.
- Perché diamine non risponde, allora! – esclamò adirata.
- Questa è una domanda complicata. – concluse Mia prima che Luna potesse richiuderla.
Le sue gambe iniziarono a muoversi per inerzia per tutta la stanza, camminava e si fregava i capelli. Non ce la faceva più, quella situazione era diventata insostenibile.
Achille era vivo, almeno questo era quello che diceva Mia e tutti sapevano che degli apparecchi del sistema non è che ci si poteva proprio fidare.
Erano tutti controllati. Da quando le risorse primarie erano venute a mancare, nulla sulla Terra era più lasciato al caso. I giovani venivano arruolati all’età di sedici anni e ingaggiati o nell’esercito per andare alla ricerca di nuovi pianeti abitabili oppure in milizie speciali per cercare di trovare aree vivibili in questo malefico pianeta.
Le donne erano diventate sterili e le poche che avevano figli venivano controllate per cercare di azzerare le nascite, scelta giustificata dal governo per l’assenza di acqua e di cibo.
Per questo Luna aveva dovuto separarsi dal suo Achille, lui era il generale dell’esercito dei plotoni spaziali e le aveva garantito che quella sarebbe stata una missione rapida e indolore. Sarebbe tornato presto e l’avrebbe portata con lui su Uralio, pianeta che a detta del marito era perfettamente abitabile.
Eppure qualcosa in tutto quello che stava accadendo a Luna non tornava. Stava passando la sua vita con il resto del popolo a scavare la crosta terreste e capitava solo rarissimamente di trovare una sorgente acqua e anche in quelle condizioni intervenivano pattuglie speciali che si mettevano a sequestrare la zona e loro, il popolo, non notava nessun miglioramento nelle proprie condizioni di vita. Era come se in verità a nessuno importasse di loro, né di cambiare la situazione. Era come se a qualcuno convenisse che tutto rimanesse invariato mentre le persone continuavano a morire. Erano tornate malattie che sembravano ormai sconfitte e in più a suo figlio era capitata una cosa molto strana.
All’inizio di questa vicenda, presa come era nella vita di tutti i giorni, non è che gli aveva dato molto peso. Mattia una mattina le aveva detto di riuscire a trasformare l’acqua salata in acqua dolce e di aver ricevuto questo potere da Gaia la fatina dell’antica leggenda.
Luna lasciò trascorrere i giorni con la speranza che tutto venisse dimenticato, non raccontò più la fiaba di Gaia a Mattia e si maledisse per averlo fatto. Il tutto per un po’ tornò normale, ma poi il bimbo riprese i medesimi discorsi. Lei pensò che il figlio volesse attirare l’attenzione su di sé, era molto attaccato al padre che non era mai stato per così tanto tempo lontano da casa, ovviamente gli disse di non farne parola con anima viva, non voleva nemmeno immaginare la reazione dei membri del Sistema a certe farneticazioni.
Poi un giorno lo vide parlare da solo, era proprio solo, nella sua camera e farneticava guardando il vuoto. Luna fu percorsa dai brividi e quando il figlio le rispose che in realtà parlava con Gaia lei gli spiegò che la fatina della leggenda in realtà non esisteva, ma era come quando da piccolo lei e Achille gli parlavano di Babbo Natale.
Quella notte Mattia fuggì di casa. Furono attimi orrendi per Luna che non poteva contare sul supporto di nessuno e non capiva dove il figlio poteva essersi andato a cacciare. Poi si ricordò della scogliera, del mare, delle sue teorie e dell’acqua che di notte si innalzava a livelli esorbitanti.
Iniziò a correre con la follia in testa e la paura nel cuore, percorse in pochi attimi i chilometri che la separavano dal mare e quello che vide la sconvolse.
Mattia era in piedi, sopra il limite degli scogli, la spuma bianca dell’acqua salata schizzava innalzandosi verso il cielo e oscurando la sua sagoma. Ma il peggio accadde quando Mattia sollevò le braccia, lei lo vide chiaramente: cristalli di sale iniziarono a alzarsi separandosi dalle scure acque e brillando più delle stelle.
Dovette strofinarsi gli occhi più di una volta per capire che tutto quello era reale e non la stanchezza delle loro vite. Con cautela si avvicinò al figlio, il suo volto sembrava quello di un sonnambulo, aveva le iridi nere e la carnagione pallida, aveva paura potesse precipitare in acqua.
Le bastava poco per afferrare la sua mano quando un piccolo essere le apparve davanti al naso. Era minuscolo, con delle piccole alette nere e il corpo di vecchina, era brutto a vedersi, quasi mostruoso e con voce ruvida le disse: — Ho preso tuo figlio per compiere il mio volere. Del resto io te l’ho dato per cui è come se fosse anche mio.
— Tu sei Gaia? — parlò lei con voce tremante.
— E tu sei Luna, lui è Mattia e sarà il primo di molti.
— Perché mio figlio?
- Perché ho deciso di tentare di aiutarvi almeno un’ultima volta.
— E non hai pensato alle conseguenze? Tu non sai cosa gli faranno. — concluse Luna stringendo il figlio che tra le sue braccia cadde come svenuto.
— Sì, lo so e per questo ho scelto te.
— Me. — ribatté carica di un misto di stupore e ira.
— Hai la forza in te, trovala.
Detto questo la fatina scomparve e Luna fu sola con quel enorme problema di cui non poteva assolutamente parlare al marito nemmeno se avesse risposto.
— Ma se solo lui fosse qui con me! — Imprecò mentalmente Luna prima che i suoi occhi sfiniti caddero assopiti.
Proprio in quel momento la conchiglia suonò: — Luna, sono Achille. Abbiamo trovato Uralio, vengo a prenderti.
>>> FINE<<<
A domani con un racconto completamente diverso