Il Pianoforte e la Bambina, Cristiana Meneghin
Eravamo arrivati, durante la prima parte del racconto, al punto in cui Luce, la protagonista, sente che sopra di lei sta passando un aereo e per questo si spaventa molto.
Chi è autistico coglie la realtà in modo differente da come la interpretiamo noi e sono molte le cose per noi banali che possono produrre in loro effetti imprevisti e inimmaginabili.
Il Pianoforte e la Bambina di Cristiana Meneghin. Seconda Parte
La paura che porta
L’incontro con chi è diverso da noi è semplicemente una non conoscenza della sua ricchezza.
Sono già in piedi, pronto a sorreggerla, almeno è questo che faccio da quando ne ho memoria. Il gruppetto veloce si allontana sempre più, io arrabbiato li sorpasso, ho ancora le mani strette a pugno quando in cielo passa un aereo e basta solo quello a far crollare Luce.
Mentalmente lo maledico, conosco l’effetto che le fanno questi rumori così improvvisi. Cade in ginocchio per terra, con le mani si tappa le orecchie, il suo corpo trema, troppa è la paura, la raggiungo nel minor tempo possibile e la stringo contro il mio petto.
Ora anche io ho paura, non so come calmarla, aiutarla, bloccare i suoi tremolii. –È ridicolo! – È tutta la vita che la osservo e ancora non imparato delle cose così importanti.
Mi sento piccolo ora, ho già 17 anni, vorrei essere grande, invece e diventare l’eroe che con il suo scudo magico salva tutti e due, ma sono solo un ragazzo che ama Luce così tanto da non sapere nemmeno come fare per dirglielo, così prendo il mio cellulare e faccio l’unica cosa che mi passa per la mente, trasmetto un video che amo guardare: la musica di un pianoforte ondeggia tra i rami del bosco, è Luce stessa che pigia i bianchi tasti che alternati con quelli più sottili e neri creano questa sinfonia meravigliosa.
Quando suona diventa un’altra persona, è così che lei è in grado di esprimere le emozioni che il suo viso non riesce a riprodurre, ed è solo la musica ciò che le permette di calmare l’ansia e di eliminare la sua paura. È stata questa l’occasione in cui ho capito di essere innamorato di lei.
Sembra ridicolo da pensare, ma anche se conoscevo Luce da quando andavamo all’asilo, è stato solo in terza media che ho percepito per lei emozioni mai provate prima; in una sera d’estate, mentre la osservavo suonare al saggio di musica, le mie mani hanno iniziato a sudare, le farfalle a volarmi nello stomaco e il cuore a battere come un tamburo nel petto. Mi era sembrata così coraggiosa, indossava un vestitino bianco con dei fiorellini neri, il pianoforte era posizionato su di un palco e la pallida luce della luna faceva brillare i suoi capelli. L’esibizione durò pochi attimi, ma cambiò la mia vita per sempre.
Da quel momento in poi ho capito che volevo esserci per lei, a ogni costo e qualunque cosa fosse accaduta.
E quella che è in corso è una delle tipiche cose che sono accadute a Luce, forse nemmeno la più grave da che io ricordi. La stringo così forte che sento il suo cuore diminuire i battiti e il suo respiro calmarsi, non mi ero nemmeno accorto che io invece sto dondolando come se volessi cullare un bambino e che le mie mani accarezzano con dolcezza i suoi capelli.
Forse è questa l’occasione che da anni sto aspettando, ma come posso parlare dei miei sentimenti a chi probabilmente non ne prova.
Con la voce che trema inizio a parlare, non so bene cosa dire, ma è ora che lei sappia: «Luce, non so se te ne sei mai accorta, ma durante la scuola materna quel bambino che stava con te dietro alla finestra a guardare gli altri bimbi giocare ero io e non so se ti ricordi, ma il tuo primo giorno di scuola ti ho preso per mano per aiutarti a fare le scale e ad accompagnarti in classe, ho imparato la lingua dei segni con te quando quell’insegnante te l’ha mostrata in prima elementare, convinta che così tu avresti iniziato a parlare.»
Gli occhi di Luce si sollevano a guardare le mie mani, io le compongo il segno di “amico” e poi non riesco a fermarmi: «Ti sono stato amico quando tutti si allontanavano da te, ti credevano stupida, ma sapevo che eri capace di cose incredibili, perché mentre tu studiavi pianoforte io prendevo lezioni di canto nell’aula accanto. Conosco il tuo dolore, perché con te l’ho provato anch’io e so che potrai non credermi, ma non desidero altro che starti vicino, incontrarti quando la scuola sarà finita e fare in modo che tu non ti dimentichi di me, perché io non riesco proprio a scordarmi di te.»
Le mie parole si fermano, non riescono più a uscire dalla mia bocca, ho la gola secca e non riesco a deglutire, quello che devo chiederle mi spaventa, una sua non risposta sarebbe più dolorosa di un pugno nello stomaco. Osservo il suo volto, è la solita impassibile maschera di cera, ma dai suoi occhi una lacrima scende e così mi faccio coraggio non posso più aspettare: «Luce, tu riesci a ricordare il mio nome?»
Il silenzio è ciò che segue, lascio che lei ci pensi mentre l’aiuto ad alzarsi, siamo mano nella mano ora, solo gli alberi ci circondano e lo scorrere del fiume è l’unico rumore. Le sue mani lasciano le mie, le vedo muoversi in aria, compiono dei gesti che nessuno capirebbe, ma che io comprendo, perché il suo mondo è anche il mio, con la lingua dei segni mi parlano e segnano un pianoforte e poi mi dicono: «Questo è il tuo nome segno. Voglio essere io a dartelo». La gioia non mi fa parlare sono così felice che mi sembra di volare e finalmente ciò che ho sempre sognato si avvera: «Alessandro è il tuo nome, anche io mi ricordo di te.»
Questa volta sono i miei occhi a inumidirsi, le prendo la mano e mentre i professori già ci vengono incontro insieme ci incamminiamo verso casa.
***FINE***
Spero di non averti annoiato e averti donato qualcosa che possa averti fatto riflettere. Concludo con una piccola nota che per chi è fuori dalla comunità dei sordi è doverosa.
Il Nome Segno è un nome che viene dato a una persona all’ingresso della comunità dei sordi, solitamente descrive una qualità che essa possiede. Io, grazie a un bando emanato dalla Regione Piemonte, ho studiato la lingua dei segni per un anno, ottenendo il primo livello della LIS, per diventare interprete ne servono almeno tre e ogni corso dura almeno un anno.
In quel periodo ero al penultimo anno della Facoltà di Filosofia e ho scelto di fare una tesi di Laurea in Linguistica e Psicologia Cognitiva, le mie materie preferite. Per riuscire a creare qualcosa di unico ho scelto di frequentare un altro corso di LIS fatto questa volta dalle insegnanti della scuola bilingue, Italiano/LIS, di Cossato. Ti parlo di questo istituto, perché lo reputo qualcosa di eccezionale. Gli studenti della scuola parlano perfettamente LIS e Italiano a partire dagli anni della materna e i sordi in essa sono perfettamente inseriti. Questo può testimoniare che un mondo migliore è possibile, ma bisogna volerlo.
Se la Lingua dei Segni aiuti o meno anche gli alunni autistici non abbiamo ad oggi prove certe, ma gli studi non sono fermi. Personalmente ho tenuto delle lezioni nella mia scuola sull’argomento proprio l’anno scorso. Sono stata felice di aver ricevuto una grande curiosità, interesse e fascino verso questa lingua.
Ti saluto con la copertina della mia tesi di laurea che mi è valsa la lode, ma non è certamente il voto ciò che me la fa amare tanto.
Questa ultima sequenza di immagini rappresentano invece il mio Nome Segno. Sono io che segno NUVOLA, il mio nome presso la comunità dei sordi. Ho scelto la nuvola, perché sin da bambina mi hanno sempre detto che ho sempre la testa tra le nuvole. Devo molto a questo difetto che è anche il mio più grande pregio.
Ti saluto caro iCrewer
Con Affetto
Wow, che emozione. Grazie, davvero bello😊 Mi piace il nome Nuvola😊.
Grazie Erika. Sono contenta ti sia piaciuto, vediamo se ti piacerà anche il prossimo 😘