“Un sole pieno, giallo e caldo. Non una nuvola. Nessuna brezza. Afa.” In piena sintonia con l’afa dilagante in questi giorni solcati da anticicloni mostruosamente potenti, la recensione di questo ineditissimo giallo/noir/poliziesco di Manuela Paric’, “L’enigma delle anime perdute”.
Come avrai già intuito, caro iCrewer, la lettura de “L’enigma delle anime perdute” mi ha entusiasmato, complice forse l’ambientazione e il clima raccontati nello stesso: una Piacenza immersa nell’afa e… nel terrore di un folle omicida.
“La notte era calata da ore. L’afa aveva lasciato spazio a un venticello leggero, quasi inutile. La città si era spenta e tutti si erano mossi verso la campagna per passeggiare sotto un cielo limpido e scuro.“
Non è solo la concausa afa estiva che mi ha accompagnata nella lettura che è riuscita a coinvolgermi appieno in questa nera storia; l’autrice mi aveva già incuriosito mentre scrivevo di lei a proposito del Festival Romance svoltosi a Milano il giugno scorso, e mi aveva attirato soprattutto la bellissima cover di questo suo lavoro, ripresa da un quadro di Ottavio Taranto. Più che un enigma da risolvere, era diventata una scommessa da giocare. Il mio istinto versus un’autrice non sponsorizzata da alcuna grande casa editrice. Chi avrà vinto? Scopriamolo insieme.
Piacevolissima l’introduzione, ove si lascia al lettore la libertà di iniziare subito il racconto o informarsi su cosa stia andando ad esplorare col prequel alla fine: ovviamente ho scelto la seconda opzione e ho pensato: “Bello, cominciare un libro dalle ultime pagine!“. Che, guardate bene, non rovina affatto la sorpresa, anzi è l’antipasto perfetto – servito su un piatto d’argento – condito con un pizzico di mistero, che stuzzica il tipico appetito dei fagocitatori di segreti.
Dovevo ancora iniziare il racconto ed ero già incollata alla trama.
Dietro la sparizione apparentemente casuale di Maria, una delle protagoniste, inizia l’avventura per Jean-Luc Mocha, un improbabile investigatore romantico, idealista e appassionato di caffè, e dell’enigma che appare fin da subito un qualcosa di quantomeno insolito. Tutti i personaggi che ruotano intorno a questa follia padana vengono presentati magnificamente, tanto che ad alcuni – anzi no, proprio a tutti – ci si affeziona senza remore: cito ad esempio Teodora, la fattucchiera/indovina/curatrice di anime, oppure i ragazzi della club del mistero, il Gruviera, la dolce Laura… e persino “il cattivo” che alla fin fine forse poi così tanto cattivo non è. Forse.
L’indagine non è priva di ambiguità e colpi di scena, tutt’altro; le psicologie si scoprono lentamente, di pari passo con il divenire degli eventi, non mancano intuizioni sbagliate, vicoli ciechi ed errori grossolani da parte degli inquirenti. Il tutto narrato abilmente e con descrizioni dei luoghi (la città, le abitazioni, i sotterranei…) che ti fanno immergere totalmente nell’atmosfera, e ti fanno identificare questo tipo di scrittura come qualcosa di piacevolmente nuovo e innegabilmente intrigante.
“In cucina strillava il televisore: l’apparecchio bianco e tondo, probabilmente pesantissimo, era sistemato tra il frigorifero e il calendario di Frate Indovino. Un faccione arrogante disegnato dal cerone stava leggendo le ultime notizie. Tragedie e miserie di diversa entità si impastavano a jingle pubblicitari: guerre, banchieri corrotti, politici senza scrupoli e donne picchiate, uccise, vessate, donne con i culi di fuori, donne dentro i cartelloni e pronte per mangiare la banana. Orrori. Esecrazioni variegate, tetre quel tanto da essere ascoltate abbracciando una boccia di popcorn al burro, possibilmente con occhialini 3D. Erano leccornie croccanti, erotiche e maligne, da ingurgitare in fretta e dimenticare con un rutto. Mocha, al contrario, non digeriva quelle succulente notizie. Lo lasciavano in balìa di un profondo senso di incompiuto, scolpivano nella sua mente un mondo malato e inguaribile. Lo avrebbe definito un inferno medievale, un luogo in cui il male e il bene erano diventati concetti privi di significato profondo. Al loro posto, un amalgama di fatti e fattucoli sottoposti al pubblico, vile, munifico censore.“
Questo uno dei tanti passaggi che mi hanno anche dato spunti di riflessione. E Il finale? Orchestrato alla perfezione. E non è tutto, perché l’autrice regala un altro racconto alla fine del racconto dopo la fine del prequel! Geniale.
Un plauso quindi alla nostra Manuela Paric’, che ha soddisfatto appieno e con la ciliegina sulla torta il mio appetito di appassionata di arcani, gialli o neri o folli che siano. Consigliatissima agli amanti del genere ma anche a chi ha voglia di sperimentare qualcosa di alternativo.
Non mi resta che attendere il prossimo lavoro dell’autrice: ho sentito vociferare di una nuova indagine per il nostro Jean-Luc Mocha, e non appena ne saprò di più ti terrò informato caro iCrewer. Stay tuned!
L’AUTRICE
OHHHHHHHHHHHHHH MAMMA MIA. BELLISSIMA RECENSIONE. Non ci sono abituata. Grazie con tutto il cuore.
Grazie a te, Manuela, per avermi regalato un’emozione. Sono tanti i fattori che concorrono a far sì che un racconto diventi non solo una produzione creativa personale ma anche un’esperienza a cui possa accedere anche il pubblico. Credo che, indipendentemente dalle preferenze soggettive del genere, tu abbia doti concrete e spero soprattutto che continuerai a crederci e a creare ancora dei bellissimi racconti. Io mi prenoto! 😉