Ciao iCrewer! Sei emozionato di partire alla scoperta di un nuovo caffè letterario? Spero proprio di si, perché io non vedo l’ora di recarmi con te a Trieste, al Caffè-Pasticceria Pirona.
Finora, il nostro viaggio ha attraversato in lungo e il largo lo Stivale: siamo stati a Roma, all’Antico Caffè Greco; a Napoli, al Gran Caffè Gambrius; a Pisa, al Caffè dell’Ussero; e al Gran Caffè Quadri di Venezia. Si tratta di locali storici, che hanno dato rifugio a menti sublimi, che sono stati testimoni della nascita di incredibili opere letterarie. Adesso è il momento di scoprire cos’ha in serbo per noi il capoluogo del Friuli-Venezia Giulia.
Caffè-Pasticceria Pirona: un po’ di storia
Per anni è stato un’importante centro culturale e intellettuale, frequentato da personalità di riguardo del mondo letterario in cerca di conversazioni stimolanti e di qualcosa di squisito da mettere sotto i denti.
Inserito nel 1994 tra i locali storici d’Italia, la sua atmosfera non è mai cambiata: né nel 1970, quando l’ultimo erede Pirona vendette il caffè alla famiglia De Marchi, né nel 2019, quando a quest’ultimi subentrarono i Viezzoli.
L’insegna di legno è ancora quella originale, così come molto del mobilio e dei macchinari utilizzati nell’attività dolciaria. Anche per questo motivo, nel 2018, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia ha decretato questa pasticceria degna di tutela.
Ospiti illustri
Ora che la storia del locale ci è un po’ più chiara, ora che abbiamo ripercorso assieme il suo viaggio negli ultimi cento anni di storia, è giunto il momento di capire il motivo – o almeno parte di esso – per cui il Caffè-Pasticceria Pirona è stato fulcro della vita intellettuale e culturale triestina.
Chi mai sedeva ai suoi tavoli? Che nomi potremmo riconoscere, se vedessimo delle targhette commemorative del passaggio di qualche noto scrittore? Beh, sicuramente ci salterebbe subito agli occhi qualcosa come “Qui James Joyce cominciò a scrivere il suo celebre romanzo Ulysses“, oppure “A questo tavolo sedeva regolarmente Italo Svevo“. Tuttavia, è un altro il letterato di cui ti voglio parlare più nel dettaglio.
Tra i clienti fissi c’era, infatti, anche lo scrittore, poeta e aforista italiano Umberto Poli (1883–1957), più noto con lo pseudonimo Umberto Saba.
La sua infanzia fu malinconica, segnata prima dall’abbandono del padre, a cui i legami familiari sembra stessero molto stretti, e poi dal forzato allontanamento dalla sua amata tata, per tornare a vivere con la madre e due zie. Nemmeno la scuola gli riservò particolari momenti di gioia, tanto da portarlo, alla fine, ad abbandonare gli studi e trovare impiego su una nave, come mozzo.
Neanche all’università furono tutte rose e viole: per cercare un po’ di pace, Saba lasciò la Toscana tornò nella sua Trieste, immergendosi nella vita intellettuale.
È all’inizio del Novecento che compaiono i primi scritti che portano la sua firma: un reportage di un suo viaggio a piedi fino in Montenegro (1905) e una raccolta di versi composti durante il periodo di leva obbligatoria nell’Esercito italiano (1907).
La prima raccolta di versi venne pubblicata a spese del poeta nel 1911: Poesie.
Dopo la fine della Prima guerra mondiale, alla quale partecipò, sebbene non in prima linea, da Milano tornò nella sua città natale. Qui, dopo vari impieghi, finì per diventare proprietario di una libreria. Di questi anni sono opere come Il Canzoniere (1922), raccolta di tutta la sua produzione poetica, e Figure e canti (1926).
Gli anni della Seconda guerra mondiale e quelli subito precedenti furono molto duri per il poeta e la sua famiglia: di religione ebraica, furono costretti a continue peregrinazioni, all’interno del territorio nazionale e all’estero, nell’attesa che quella follia finisse.
Il secondo Dopoguerra lo vide a Milano, come collaboratore de Il Corriere della Sera. Le sue nuove opere, Scorciatoie – una raccolta di aforismi – e Storia e cronistoria del Canzoniere – commento in terza persona a Il Canzoniere – vennero date alla stampa dalla casa editrice Mondadori.
Nel 1946 vinse il primo Premio Viareggio per la poesia del dopoguerra; nel 1951 il Premio dell’Accademia dei Lincei e il Premio Taormina. Nel 1953 l’Università di Roma La Sapienza gli conferì la laurea honoris causa.
L’ultimo periodo della sua vita fu doloroso, segato dalla terribile malattia della moglie. Morì nove mesi dopo di lei, lasciando incompiuto il romanzo dai tratti autobiografici Ernesto.
Credo si interessante chiudere con una piccola curiosità: lo pseudonimo. Il motivo per cui lo scrittore scelse proprio Saba non è noto. Tuttavia, si ipotizza che possa essere stato un modo per rendere omaggio alle sue origini ebraiche, oppure alla figura del letterato nonno materno o, ancora, al ricordo della sua amatissima balia.