Hai mai notato che, a volte, parole che pensiamo dovrebbero avere la stessa radice, in realtà sono molto diverse tra loro? Prendiamo il caso di bianco, sia nella sua forma aggettivale (“La neve bianca“), sia in quella nominale (“Mi piace il bianco“): ci aspetteremmo che tutti gli aggettivi e in nomi che hanno a che fare con esso abbiano la stessa etimologia e la stessa radice, no? E invece non è così.
Significato simile ma termini diversi
Quando ci si trova davanti a una parola che non si conosce, c’è sempre la possibilità di risalire al suo significato tramite un’analisi della radice del termine nuovo. Quindi, se dovessimo leggere o sentire il verbo sbiancare, riusciremmo a capire che si tratti dell’azione di diventare bianco; o meglio, di perdere il proprio colore orginale, in modo abbastanza repentino, in favore di uno bianco o biancastro (“Il volto sbiancò” indica che da un bel colorito sano e giocondo, si passa a uno di estremamente pallido e terreo).
E se dovessimo incontrare albume? Come faremmo a sapere che si tratta del bianco dell’uovo? Riusciremmo a capire che la parola albino indica una condizione genetica da cui deriva il colore della pelle e degli occhi estremamente chiaro, e quello dei capelli – o della pelliccia visto che si può trovare anche tra gli animali – pressoché bianco?
Quindi la domanda da farsi è: perchè se il significato è abbastanza simile, i termini sono però così diversi?
Bianco: un prestito dal germanico
Ebbene sì: il motivo di una differenza così netta tra i due gruppi di termini è collegato alla loro radice, e quindi alla parola da cui derivano. Essendo l’italiano una lingua neolatina, la risposta di default sarebbe quella di dire che tutto è da ricondursi all’idioma dell’Antica Roma, giusto? E invece non è così.
Bianco deriva dal germanico *BLANK, mentre albume dal latino albus – che per l’appunto vuol dire “bianco”. Ciò perchè con le invasioni barbariche che si verificarono alla fine dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.) e con gli scambi, per quanto limitati, in età medievale, alcuni termini del germanico finirono per radicarsi nel volgo popolare, soppiantando il corrispettivo latino. Continuarono quindi a esistere e formarsi parole derivanti sia da una radice, sia dall’altra, con la differenza che le derivazioni germaniche sono rimaste nell’uso popolare, volgare – intendendo del popolo – della lingua, mentre quelle latine nella lingua più colta, aulica.
Un simile processo è riscontrabile anche in guerra, dal germanico *WERRA, e bellico, aggettivo che deriva dal sostantivo latino bellum. I prestiti germanici, poi, sono particolarmente numerosi nell’area semantica della guerra e delle armi, così come in quella dell’ippica (qui cavallo è latino, ippica è greco), ossia ambiti in cui le popolazioni germaniche eccellevano.
Nel caso in cui ti stessi chiedendo come mai ho scritto i termini germanici in maiuscoletto preceduti da asterisco, eccomi con la spiegazione: il germanico è una lingua ricostruita, ossia un idioma di cui non si hanno testimonianze scritte di alcun genere e che è stato creato, per così dire, all’inverso. Invece di analizzare la parola di partenza, per poi studiare il modo in cui si è modificata nelle lingue figlie – per esempio dal germanico, al germanico orientale, la variante parlata dalla popolazione ostrogota – i filologi sono partiti dalle derivazioni per cercare di ricostruire la base.
Il suo essere una ricostruzione “a tavolino” viene quindi indicato dalla formattazione particolare adottata. Un’altra lingua ricostruita è l’indoeuropeo, l’idioma madre da cui derivano molte lingue europee – ma non solo.