Beatrice Giai Gischia oggi ospite della nostra rubrica Sogni di carta, è autrice di un romanzo storico di cui ti ho già parlato. Dedicato a Gorgò, la famosa regina dell’antica Sparta che è una delle poche figure femminili del mondo greco passate alla storia e alla fama imperitura, il romanzo è stato pubblicato da Santelli Editore
Salutiamo la nostra scrittrice, Beatrice Giai Gischia ringraziandola per la disponibilità, e inizio questa intervista con la solita domanda di rito, per conoscere e approfondire la sua figura di scrittrice.
Chi è Beatrice Giai Gischia e da quando si dedica alla scrittura?
Sono un’insegnante di Materie letterarie, Latino e Greco al Liceo Classico, da sempre amo la ricerca e i testi antichi e questo mi ha permesso di arricchire la mia carriera professionale con gli studi personali sul mondo greco, che è ancora una fonte di ispirazione importantissima per tutti noi.
Ho scritto per molti anni per giornali locali e settimanali, poi nel 2015 sono riuscita a pubblicare il mio primo romanzo, un testo breve, ambientato ad Atene nel V secolo a.C., intitolato In mezzo al mare scuro come vino: è la storia inventata di Eirene, una ragazza che cerca l’indipendenza in una società che non dà molto spazio alle donne.
Nella mia testa, però, già prendeva forma l’idea di costruire un romanzo storico vero e proprio che avesse come protagonista ancora una volta una donna: così, a partire dal 2016, ho cominciato a raccogliere informazioni su alcuni personaggi femminili del mondo classico e ho scoperto che forse valeva la pena di approfondire la storia di Gorgò (la moglie di Leonida) di cui nessuno aveva mai scritto un romanzo, nemmeno autori stranieri. Poi la passione ha fatto tutto il resto.
Il suo percorso formativo e professionale in che misura influenza le tematiche dei suoi libri?
Certamente il mio percorso professionale ha influenzato le mie scelte, di sicuro mi sento più preparata a scrivere romanzi ambientati nell’antichità classica, ma oggi è necessario soprattutto agganciare il pensiero degli antichi con l’attualità. Non basta inventare una bella storia, bisogna trasportare il lettore in quell’epoca, facendo assaporare le tradizioni, i profumi, i paesaggi e accompagnandolo alla scoperta di quel mondo, proprio come se fosse lì, insieme con i personaggi del romanzo.
Beatrice Giai Gischia e Gorgò
Approfondiamo adesso i motivi che hanno portato alla pubblicazione di Gorgò. La regina di Sparta. Perché la scelta di questo personaggio?
Gorgò è un personaggio che offre molti spunti di riflessione: è figlia di un re spartano molto influente, Cleomene I, vive a Sparta nel V secolo a. C. in una società chiusa, incentrata sulla guerra, con una classe dirigente formata solo da nobili, gli Spartiati; eppure in questa società alle donne è consentito partecipare alla vita pubblica, avere un’istruzione, stare fuori casa da sole, fare allenamenti quotidiani che mantengano il corpo in forma, avere proprietà terriere. Assomiglia ad una donna moderna e si trova a vivere una situazione molto comune per le regine di tutti i tempi: sposarsi con un uomo – lo zio più anziano, secondo la legge spartana – per assicurare la continuità dinastica sul trono di Sparta.
Era una storia affascinante, meritevole di approfondimenti: è stato un onore e un privilegio che non posso descrivere a parole, fare ricerche sulla sua vicenda personale e ora penso che la “mia” Gorgò non sia così lontana dalla regina spartana vissuta 2500 anni fa.
Ma mi sento il dovere di ringraziare la mia casa editrice, la Santelli editore: il mio sogno di pubblicare non sarebbe stato possibile senza di loro, che hanno investito nella mia opera apprezzandola fin dalla prima lettura con grande entusiasmo e facendola arrivare fisicamente in tutte le librerie d’Italia grazie alla distribuzione nazionale.
La figura di Gorgò nel romanzo è delineata in maniera approfondita, tuttavia ciò che emerge maggiormente è il suo “ruolo pubblico”, diciamo così, forse un po’ a discapito del lato privato. Ciò è dovuto alla volontà di far risaltare la Gorgò regina, lasciando in secondo piano la Gorgò donna?
A Sparta gli uomini e le donne vivevano per lo Stato: i bambini, figli degli Spartiati, dall’età di 7 anni, lasciavano la famiglia e venivano educati per diventare guerrieri; le donne si occupavano della casa, ma anche gestivano le loro proprietà ed erano più libere rispetto a tutte le altre donne greche. Anche la vita privata era sacrificata in nome dello Stato: la legge spartana era preponderante nell’esistenza degli Spartani, tutto era regolato da norme, che nessuno osava trasgredire.
I cittadini non potevano accumulare denaro, né vestirsi con abiti sfarzosi, né mangiare cibi raffinati. Chi nasceva schiavo rimaneva tale, chi era nobile doveva comunque sacrificarsi per la città, che decideva in modo rigido il futuro dei “figli di Sparta”: così erano chiamati i cittadini fin dalla tenera età.
Ho costruito il mio personaggio, calandolo in questo sfondo storico, poi è ovvio che emergono anche i sentimenti e soprattutto il dolore, causato dalla guerra.
Leggendo il libro ho trovato che la regina Gorgò, pur essendo una figura dell’antichità è estremamente “moderna” per il pensiero e le azioni. Questo modo di far agire il personaggio è totalmente un’invenzione dell’autrice, oppure è frutto di precise fonti storiche?
Ci sono documenti ben precisi che ci fanno pensare alla sua modernità. Lo storico Erodoto riporta almeno due episodi degni di nota, da cui si può comprendere che Gorgò era istruita, sapeva leggere e scrivere, e che non aveva timore di esprimere la propria opinione in pubblico, facendo emergere saggezza e lungimiranza di pensiero.
Anche Plutarco parla di lei e riferisce una frase sentenziosa da lei pronunciata, in uno scambio di battute con una donna straniera. Io ho utilizzato tutti questi spunti inserendoli nella trama del romanzo: è il lavoro più difficile, come avete già sottolineato voi.
Armonizzare i dati storici con elementi di fantasia, in modo da costruire un tutt’uno perfetto, richiede molti mesi di scritture, correzioni, rifacimenti: bisogna anche sapersi “tagliare” quando ci si rende conto che un determinato capitolo non è funzionale allo sviluppo del testo.
Il suo romanzo immerge il lettore nel mondo dell’antica Grecia. È chiaro che le sue conoscenze in materia hanno avuto il loro bel peso. Si è dovuta ulteriormente documentare per scriverlo?
Ho letto soprattutto Erodoto, le Storie, i libri riguardanti le guerre persiane, il IV, V, VI, VII per intero, ma anche alcuni saggi sulla condizione della donna greca nel V secolo a. C.; quando ormai sei entrata in un meccanismo che è quello di costruire una trama e un personaggio, nulla è faticoso, ma diventa stimolante e funzionale alla conoscenza dell’argomento che si vuole trattare.
Gorgò fra antico e moderno
Pensa che quel mondo così lontano e diverso dal nostro possa avere qualche analogia con la contemporaneità?
Il mondo classico è ricco di saggezza, di cultura, di amore per il sapere.
Del resto le più importanti innovazioni sono sorte in Grecia: pensiamo alla filosofia, al teatro, alla democrazia, alla retorica, all’arte. Molte idee sono state riprese dai Romani e adattate alla mentalità italica, che era più pragmatica e ispirata dalla concretezza.
Il nostro lessico deriva dal greco e dal latino: mentre parliamo, pronunciamo ancora parole di derivazione greca e latina senza accorgercene, ma è così: l’eredità del passato è quindi enorme.
La stessa Gorgò si trova a vivere una situazione molto simile alle donne di oggi: in molti stati del mondo la donna non ha ancora libertà di parola, di espressione, non può uscire da sola, né avere un minimo di istruzione e spesso è costretta a sposarsi attraverso matrimoni combinati. Ho scritto una frase pronunciata da Gorgò, pensando proprio alla situazione odierna: “io spero solo che in futuro tutte le donne del mondo possano essere libere, avere un’istruzione adeguata e poter realizzare le proprie aspirazioni nel migliore dei modi, ma davvero non so dire quando questo si realizzerà”
Un ultima domanda per Beatrice Giai Gischia:
Ad un certo punto lei fa dire ad uno dei personaggi del romanzo “Potranno distruggere le nostre case, abbattere e profanare i nostri templi, toglierci la libertà di pensiero o di parola, ma le nostre opere parleranno ancora di noi…” È uno dei concetti presenti nel libro che personalmente, se mi girò a guardare intorno, trovo di straordinaria attualità. Pensa che tutto sommato nella storia umana tutto si ripete e che, noi uomini del terzo millennio abbiamo molto da attingere e da imparare dagli antichi greci?
Certamente la storia è da sempre magistra vitae, un faro che illumina la strada per le generazioni future. Molte situazioni sono già state vissute dai nostri antenati e, volendo, noi potremmo trarne molti insegnamenti.
Molto spesso però l’uomo non impara dal passato, perché gli esseri umani hanno bisogno di sbagliare di persona per poi fare esperienza e ravvedersi.
La cultura che viene dal passato di sicuro non tramonta mai: esisterà sempre un monumento, un testo antico, un luogo che ci ricorderà quali sono le nostre radici e che sarà testimonianza del fluire inesorabile della storia.
Se ci emozioniamo e piangiamo davanti ad un’opera d’arte o ad un testo che ha più di 2000 anni, già così riconosciamo il valore della cultura antica.
Su questa ultima risposta che mi trova totalmente concorde alla nostra gentilissima ospite, chiudo questa intervista, auguro a Beatrice Giai Gischia di continuare a coltivare la sua passione per il mondo classico in modo da regalarci ancora spaccati di vita temporalmente lontani da noi, ma straordinariamente “moderni”.