Saggista, poeta, drammaturgo e scrittore, Wole Soyinka è il primo intellettuale africano ad aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura, nel 1986.
Wole Soyinka e l’isolamento
Nato nel 1934 a Isara-Remo, nella Nigeria occidentale, studia drammaturgia prima a Ibadan e poi in Inghilterra, dove comincia anche a lavorare come drammaturgo. Nel 1960 rientra in Nigeria grazie a una borsa di studio. Passa più di due anni in una cella di isolamento per aver pubblicato un articolo che chiedeva la fine delle ostilità durante la guerra civile nigeriana e, da questa drammatica esperienza, ne scaturisce l’opera L’uomo è morto.
Oggi vive ad Abeokuta, dopo aver passato un lungo periodo in esilio negli Stati Uniti a causa della condanna a morte che pendeva sulla sua testa per opera del dittatore nigeriano Sani Abacha, scomparso nel 1998.
“La storia ha sbagliato. Le dichiarazioni secondo cui l’Africa è stata esplorata sono avventate come le notizie della sua morte imminente. Un’indagine davvero illuminante sull’Africa deve ancora avere luogo, e non finge di accadere neanche nelle pagine di questo libro, che si limita a raccogliere qualche seme fecondo abbandonato sull’aia dell’esistenza africana nel suo complesso. Spero che da questi semi nasca una nuova stirpe di esploratori per la corsa alla necessaria Età della Comprensione Universale, ispirata dall’Africa.” (Wole Soyinka, tratto da Africa)
Wole Soyinka ha partecipato quest’anno al Festivaletteratura di Mantova dove ha dialogato con Massimo Raffaeli sul suo ultimo libro, Ode laica per Chibok e Leah.
Qui, una sua bellissima intervista, sempre a cura di Festivaletteratura, da ascoltare e riascoltare.
Autore prolifico, tra le tante opere tradotte anche in italiano, ti consiglio, per iniziare, questi tre libri di Wole Soyinka: L’uomo è morto? Smurare la libertà, Sul far del giorno, Il peso della memoria.
Nel 1986, Wole Soyinka nel discorso per il conferimento del premio Nobel per la letteratura prende le mosse da un’esperienza teatrale londinese per sviluppare un complesso e potente j’accuse contro il razzismo. Due anni dopo, in uno scritto sul teatro nelle culture tradizionali africane, egli afferma come tale arte sia divenuta una pratica di liberazione, un «modello di sopravvivenza» dell’uomo oppresso. Sospinto dall’urgenza dell’oggi, Soyinka prende nuovamente la parola per esortare ognuno di noi a difendere quel bene immateriale ma concreto che chiamiamo «libertà». “Smurare la libertà” è il compito più esaltante che l’umanità possa assumersi, e necessita sempre di una critica dell’intera storia dello sviluppo umano.
Nel linguaggio lirico e politico, profondamente umano, che gli è proprio, mescolando immagini della millenaria tradizione yoruba e della cultura classica occidentale, il premio Nobel per la Letteratura Wole Soyinka cattura lo spirito creativo travolgente della sua terra natìa e della sua gente. Ne racconta la storia dai tempi coloniali a quelli dell’indipendenza, la guerra civile del Biafra che gli costò la prigione, le successive dittature, fino a quella del generale Sani Abacha che lo costrinse all’esilio con una taglia internazionale sulla testa.
Il racconto si apre col ritorno dell’autore nell’amata città natale, Abeokuta, in seguito alla morte del sanguinario dittatore. Andando avanti e indietro nel tempo, Soyinka ricorda gli amici scomparsi, gli anni da studente in Inghilterra, la fascinazione del bambino nei confronti della strada, i viaggi continui e le fughe dal paese, lo studio delle maschere e dei riti tradizionali, le scorribande con gli amici al ritmo highlife della metropoli, le battute di caccia nella quiete del bosco, il rapporto col suo demiurgo personale Ogun, le passeggiate a Venezia con W. H. Auden e Stephen Spender, la cerimonia del Nobel, l’incontro con Nelson Mandela a Parigi, gli anni americani, l’esilio.
Una vita vissuta sotto l’insegna di un unico, potentissimo ideale: la giustizia come chiave essenziale della condizione umana.
Wole Soyinka, Nobel per la Letteratura nel 1986, prende qui la parola per esprimere una posizione molto netta in merito alla questione della possibile riconciliazione tra ex colonizzatori ed ex colonizzati: lo fa parlando da scrittore africano di lingua inglese – dunque da scrittore postcoloniale – e lo fa con la consapevolezza di porre una questione che riguarda l’umano in quanto tale. Ciò che è in gioco nel rapporto tra l’Africa attuale e coloro che discendono dai colonizzatori di ieri, infatti, tocca la possibilità di definire i contorni di una memoria condivisa che possa divenire patrimonio della storia universale.
La memoria della colonizzazione e della schiavitù non serve solo a far ricordare gli orrori di un passato che mostra quanto siano profonde e antiche le cause dei mali che affliggono il continente nero; né ha la funzione di far ricordare agli ex colonizzatori l’entità del male commesso. Ben più importante è il confronto con il complesso di atteggiamenti e di modi di sentire che hanno reso possibile la tratta degli schiavi e la conquista coloniale dell’Africa.
Soyinka va però oltre, non si ferma qui. Perché si possa realizzare una politica della memoria degna di questo nome vi deve essere anche una concreta volontà di risarcimento. La spoliazione subita dall’Africa con la tratta e la colonizzazione non ha solamente cancellato la dignità dei popoli africani, ma ne ha anche precluso la via verso un’economia del benessere.