Ho conosciuto le pagine di Elias Canetti per caso, curiosando tra le bancarelle di un mercatino dell’usato di provincia.
Tra le centinaia di libri con le copertine logore che profumano di vita, ho notato questo qui: Le voci di Marrakesh, di Elias Canetti. Non lo conoscevo e così, incuriosita, l’ho preso con me.
Elias Canetti nasce il 25 luglio del 1905 in Bulgaria. Fin dall’infanzia, Canetti entra in contatto con diverse lingue: il ladino o giudeospagnolo parlato in famiglia, il tedesco, parlato dai suoi genitori quando dialogavano tra loro (una lingua che amavano perché ricordava loro gli anni di studi a Vienna), l’inglese, quando la famiglia andò a vivere a Manchester e, ovviamente, il bulgaro.
Dopo la morte del padre, pochi mesi dopo il trasferimento in Inghilterra, la madre decide di spostarsi nuovamente, stavolta a Vienna. Ed è in questo periodo che Canetti decide di eleggere il tedesco, la lingua dell’intimità dei suoi genitori, a sua patria linguistica. Le sue peregrinazioni continueranno anche negli anni successivi: Zurigo, Berlino, Parigi, Londra e poi ancora Zurigo, dove viene a mancare nel 1994.
Il suo corpus letterario è molto particolare: un solo romanzo, un solo libro socio-filosofico-antropologico-etnografico (la sua definizione è ardua), qualche saggio, un libro che potrebbe essere definito “di viaggio” e un’autobiografia in tre atti.
Nel 1981 Canetti riceve il premio Nobel per la letteratura, con la seguente motivazione «per i suoi lavori caratterizzati da un’ampia prospettiva, ricchezza di idee e potere artistico».
Canetti è tanto ostico da conoscere e assimilare, quanto importante è farlo, perché parla di concetti e metamorfosi ancora in atto ai giorni nostri, dinamiche che non si estinguono perché parte dell’essere umano. Per conoscerlo, però, è necessario leggerlo.
Le voci di Marrakesh non è sicuramente il suo libro più famoso, anzi. Auto da fé, l’unico romanzo, e Massa e potere, un’opera poderosa la cui gestazione è durata anni, sono le opere per cui è più noto, due capisaldi della letteratura del novecento.
Auto da fé
Massa e potere
Nelle sue memorie Canetti scriverà, a proposito della massa: “È un enigma che mi ha perseguitato per tutta la parte migliore della mia vita e, seppure sono arrivato a qualcosa, l’enigma nondimeno è restato tale”. Il “qualcosa” a cui qui si allude è “Massa e potere”: la sua lunghissima genesi – apparve dopo trentotto anni di elaborazione – fa capire quale immensa energia, concentrazione, furia si sia depositata nelle pagine di questo libro. Un libro che è un vasto mito costellato di tanti altri miti – spesso dissepolti con passione da libri dimenticati nell’oscurità delle biblioteche -, dove Canetti, con l’asciuttezza vibrante di un annalista cinese, riesce a saldare in un tutto l’immane storia che vive in ciascuno di noi, iscritta nei nostri gesti elementari.
Le voci di Marrakesh
Elias Canetti soggiornò per un certo periodo a Marrakech, nel 1954. Il grande lavoro su “Massa e potere” era giunto a un momento di stasi e lo scrittore sentiva il bisogno di nuove voci, di voci incomprensibili, come quelle che lo avvolsero nella splendida città marocchina. Vagando per i suk, per le strette vie, per i mercati e le piazze, fra cammelli, mendicanti, donne velate, cantastorie, farabutti, ciechi e commercianti, Canetti capta forme e suoni: “gli altri, la gente che ha sempre vissuto là e che non capivo, erano per me come me stesso”.
Quest’ultimo, in particolare, mi è entrato nel cuore. Può quasi esser definito un’educazione sentimentale alla Marrakech degli anni ’50, attraverso gli incontri con gli individui che la popolano. Nei brevi capitoli che compongono questo libro, infatti, vivono solo persone e relazioni. Si parla poco dei luoghi: Marrakech si presenta attraverso i mille volti che la colorano.