Ciao iCrewer, non so se hai un autore preferito, uno scrittore per cui faresti follie. Qualcuno per cui saresti disposto a stare in fila per ore, magari sotto il sole cocente d’agosto o nel freddo di dicembre. Per me c’è solo un nome: Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Peccato che, però, non possa più autografarmi le sue opere.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij è, insieme a Lev Nikolàevič Tolstòj, uno dei più grandi autori russi dell’800 e di sempre. C’è una domanda che è quasi di rito tra chi ha letto almeno un libro di entrambi gli scrittori: Dostoevskij o Tolstoj? Il che è un po’ come chiedere: Vasco Rossi o Ligabue? Per quanto mi riguarda, la risposta è univoca. Forse, però, è meglio partire dal principio.
La Russia e Fëdor Michajlovič Dostoevskij
Nato a Mosca il 3 ottobre 1821, Dostoevskij era il secondo di sette figli. Alla morte della madre, fu obbligato dal padre a trasferirsi a San Pietroburgo, dove frequentò prima l’accademia militare e poi la scuola d’ingegneria. Tuttavia, ci fu un grosso vantaggio nel trovarsi nella capitale dell’Impero russo: aveva accesso alla fervente vita letteraria e ai salotti in cui s’intrattenevano discussioni filosofiche e, a bassa voce, politiche.
La sua prima opera è datata 1844 e si tratta di un romanzo epistolare, Povera gente, a cui seguì, dopo poco, Il sosia (1845). Nel romanzo lo scrittore affronta il tema del doppio, dello sdoppiamento della personalità, dell’insorgere della schizofrenia. Altra opera nota di questo periodo è Le notti bianche (1848), in cui San Pietroburgo si mostra a noi attraverso gli occhi dello scrittore, ancora giovane, romantico e sognatore.
La situazione cambiò drasticamente nel 1849, quando Dostoevskij venne arrestato con le accuse di appartenenza a una società segreta e di cospirazione. Pena: fucilazione. La grazia dello zar Nicola I giunse all’ultimo istante, commutando la condanna a lavori forzati in Siberia. Lo scrittore vi rimase circa dieci anni e, quando tornò, era cambiato nel fisico e nell’anima.
E’ al ritorno dall’esilio che i suoi grandi romanzi videro la luce. Opere come Delitto e castigo (1866), con l’esempio di uomo nichilista costituito dal protagonista, Raskol’nikov; I demòni (1871); L’idiota (1869), in cui cerca, senza un vero e proprio successo, di rappresentare un protagonista positivo; L’adolescente (1875) e il mio preferito in assoluto: I fratelli Karamazov (1878-1880), in cui i tratti principali della personalità umana vengono incanalati nelle figure dei protagonisti. Ci troviamo così davanti a Dimitrij, impulsivo e passionale; Ivàn, scettico e logico e Alëša, buono e gentile. Non ci vuole molto per capire che dentro ognuno di noi dimorano tutti e tre i fratelli.
I suoi lavori non narrano semplicemente una storia, ma s’interrogano sul mondo. Affrontano temi filosofici, politici, spirituali, sociali, inseriti con eleganza e maestria all’interno di trame complesse e affascinanti.
I viaggi in Europa
Nel capoluogo toscano lo scrittore mise piede due volte: nel 1862, con l’amico filosofo e critico letterario Strachov, e nel 1868, con la seconda moglie Anna. Il primo soggiorno lo passò a passeggiare, visitare gli Uffizi, il gabinetto scientifico-letterario di G.P. Vieusseux, e a gustarsi del buon Chianti.
Nel 1868 l’autore russo si fermò a Firenze per diversi mesi e visse, con la moglie, al numero 8 di via Guicciardini, a pochi passi da Palazzo Pitti e Ponte Vecchio, dove una targa commemorativa riporta le date di stesura del romanzo. Oltre a scrivere, le occupazioni di Dostoevskij non furono molto diverse rispetto alla permanenza precedente. Tuttavia, l’arte e la bellezza non riuscirono a distrarlo dei problemi economici che sempre lo accompagnarono, non facendo altro che aumentare lo stress e le crisi epilettiche di cui soffriva fin dalla morte del padre, avvenuta negli anni ’40 dell’800.