Nell’edizione dei 60 anni del Premio Campiello arriva “Il Campiello dei Campielli“, annunciato il 3 settembre dal presidente della Giuria dei Letterati Walter Veltroni. È un riconoscimento speciale che è stato virtualmente consegnato nel corso della serata finale, al Gran Teatro La Fenice.
Il Campiello dei Campielli
In un’intervista all’Ansa, Il presidente della Giuria dei Letterati, Walter Veltroni ha affermato:
Questo riconoscimento va a Primo Levi come simbolo di questi 60 anni di storia letteraria. Levi ha vinto due volte il Campiello, con ‘La Tregua’ e poi con ‘Se non ora quando’, nel 1982, ed è un autore che probabilmente meglio rappresenta questi 60 anni di cambiamento dell’Italia e anche di cambiamento del premio. Stasera sarà Liliana Segre con un video a parlare di Primo Levi e credo che in questo momento la memoria, la coscienza di ciò che è stato – Primo Levi lo ha testimoniato con una qualità letteraria altissima – siano tra i valori ai quali questo Premio si è sempre ispirato.
L’incontro con Liliana Segre
Liliana Segre, sopravvissuta alle barbarie dell’uomo, ha ringraziato l’esistenza dell’opera La Tregua. La senatrice a vita ha pubblicato su Il Corriere della Sera:
Conobbi prima lo scrittore, poi l’uomo. Accadde leggendo il capolavoro di Primo Levi Se questo è un uomo, che in origine faticò a trovare un editore. Già nella poesia iniziale, quasi un grido, quella che contiene il verso «Meditate che questo è stato», mi riconobbi: «Senza capelli e senza nome/ Senza più forza di ricordare/ Vuoti gli occhi e freddo il grembo/ Come una rana d’inverno». Divorai quel libro. Soffrii enormemente leggendolo e al tempo stesso mi dava la sensazione che fosse quasi un’invenzione: non perché non corrispondesse a quello che io avevo visto, tutt’altro, ma per la capacità dell’autore di mettere per iscritto l’indicibile.
Inviai una lettera a Primo Levi, la lettera di una ragazza sconosciuta, come in fondo sarei rimasta per lui tutta la vita. Lo feci perché l’Alberto del quale parlava in Se questo è un uomo, il suo compagno di prigionia, il suo amico, mi ero illusa che potesse essere mio padre, che si chiamava anche lui Alberto e divenne cenere nel vento di Auschwitz. Primo Levi mi riscrisse, e lì conobbi l’uomo. Rispose quasi con freddezza, forse disturbato dall’impatto inaspettato del suo capolavoro, non si rendeva ancora conto che lo fosse. «L’Alberto di cui parlo io non è quello che cerca lei», mi fece sapere. Io rimasi male del tono, ma negli anni successivi fui affamata dei suoi libri. A me che ero stata «una rana d’inverno», anche se poi i capelli mi erano ricresciuti, i suoi scritti servirono tremendamente. Mi aiutarono a capire fino in fondo che cosa avevo vissuto, a trovare le parole per esprimerlo.
Primo Levi è stato un testimone, e anche io ho parlato nelle scuole per circa trent’anni. È stato un dovere imprescindibile anche se dolorosissimo. E su un punto ho sempre detto parole simili alle sue: non dimentico, non perdono, ma non odio. Io non dimentico nulla, cerco di ricordarmi i visi, i colori, le atmosfere; non perdono, perché non posso perdonare un delitto simile. Ma se avessi odiato, sarei diventata come i miei aguzzini, mentre io sono diversa da loro: scelgo l’amore.
Era, secondo me, doveroso assegnare il Campiello dei Campielli proprio a quest’opera. Un’opera che risulta essere ancora tristemente attuale. Un’opera che difficilmente finirà nel dimenticatoio, ma che dovrebbe avere, come altre testimonianze, un posto di maggiore risalto nelle scuole, e non solo nel mese di gennaio.