Se il classico sia utile o meno continua a essere uno dei temi più discussi e dibattuti da intellettuali, politici, insegnanti. Chi ne tesse le lodi ne sottolinea il ruolo fondamentale di paladino del nostro patrimonio storico e culturale. Chi, al contrario, ne mette in dubbio la validità, fa notare la scarsa preparazione in ambito scientifico che questa scuola solitamente offre.
Il liceo classico è una scuola complessa, così come lo è il discorso sulla sua efficacia formativa. Quello che più viene preso di mira è l’insegnamento del greco e del latino, mentre, spesso, vengono sottovalutati i veri e principali problemi che accompagnano questo tipo di scuola e che sono i reali responsabili del precipitoso calo di iscritti che si verifica ogni anno. Ciò che di carente ha il liceo classico non sono le materie che vengono insegnate, ma è come vengono insegnate e come è organizzata la didattica. Con l’inserimento di una lingua e dello studio della fisica gli ultimi tre anni la situazione è sicuramente migliorata, eppure il classico continua a rimanere arcaico. E questo, come già suggerito, non dipende dalle caratteristiche intrinseche delle materie, quanto più da altri fattori. Primo tra tutti l’insegnamento. Negli ultimi anni è evidente come i metodi da sempre utilizzati siano del tutto inefficaci; obbligare gli studenti a lunghe ore di latino, di greco o di filosofia in modo acritico e passivo non solo è inutile, ma è anche dannoso. La grammatica, le declinazioni e le coniugazioni verbali sono senz’altro la base, ma necessario sarebbe, prima di tutto, spiegare agli alunni il perché sia così importante continuare a studiare quelle che sono a tutti gli effetti lingue morte. Fare una riflessione sul perché la filosofia, se fatta bene, può aiutarci nella vita quotidiana. E questo si ottiene non solo attraverso l’esercizio e lo studio maniacale di ogni regola o di ogni filosofo da Anassimandro a oggi, ma anche da un confronto e da una valutazione critica con il mondo attuale, su ciò che è mutato e che continua a mutare e su ciò che possiamo imparare da chi è venuto prima di noi. Siamo o non siamo nani sulle spalle di giganti?
Dei pregi, difetti e complessità del classico si è occupato anche Federico Condello,
professore ordinario di filologia classica nell’ateneo bolognese e coordinatore del Laboratorio di traduzione specialistica delle lingue antiche, nel suo ultimo saggio La scuola giusta: in difesa del liceo classico, editore Mondadori.
La tesi di base è abbastanza chiara fin dal titolo: “Il liceo classico è un elemento distintivo della storia italiana, risorsa inestimabile è troppo poco sfruttata, per favorire l’eguaglianza scolastica e la mobilità intergenerazionale”. Condello non difende a spada tratta il classico; quello che fa, piuttosto, è un’analisi dettagliata, che va a sondare aspetti culturali, sociali, politici e storici. L’autore parte da una considerazione più generale della società e dei suoi cambiamenti, fino ad arrivare ad analizzare aspetti più pratici, come l’utilità del greco e del latino.
Proprio questo è argomento che viene ripreso più volte.
Se pensiamo alla nostra vita quotidiana sorge effettivamente spontanea la domanda “a cosa potranno mai servire lingue come il greco e il latino?”, “che utilità possono mai avere?”. Da un punto di vista pratico sicuramente poca. Ma che vuol dire poi utilità? Cosa è per noi una cosa utile? Un qualcosa da sfruttare e di cui servirsi ora e subito, per ottenere risultati immediati o piuttosto un qualcosa che permetta di sviluppare capacità nuove e di allenarci a diventare individui “complessi”?
Corbello non si limita, però, ad analizzare ciò che di bello il classico ha da offrire, ma solleva anche numerose problematiche.
Una di queste è come i licei, in particolare il classico e lo scientifico, siano ancora scuole prettamente elitarie. I perché potrebbero essere tanti e molti sono riconducibili al tipo di insegnamento e al tipo di investimenti che vengono richiesti, sia economici che psicologici. Per fare un esempio banale, basterebbe fare un calcolo approssimativo: quanti studenti vanno a ripetizione di almeno una materia? Quanto viene a costare questo alle famiglie? E ancora, quanti sono i nuclei familiari autonomi, che possono contare su una base economica stabile e che non hanno necessità di avere figli indipendenti che lavorano?
Che al classico l’impegno richiesto sia elevato, spesso eccessivamente, è cosa risaputa. Che a questo liceo segua, solitamente, un altro ciclo di studi di almeno altri tre anni anche.
Quello che resterebbe da fare non è più analizzare i pro e i contro,
dando vita a una faida tra intellettuali fine a se stessa. Ciò di cui abbiamo bisogno adesso è un intervento, che coinvolga tutti. Le basi dell’insegnamento dovrebbero cambiare, così come gli atteggiamenti di studenti e professori. Ma, soprattutto, bisognerebbe promuovere una nuova cultura, una cultura che non veda come unico progresso la scienza e le tecnologie, ma anche la complessità cognitiva. Una capacità che si può ottenere anche attraverso lo studio di quelle lingue considerate dai più tanto inutili, ma che, invece, potrebbero aiutarci a crescere e a migliorarci come individui e come società.