Tra il 13 e il 14 settembre 1321 moriva Dante degli Alighieri a Ravenna, dopo che per buona parte della vita, da quando aveva lasciato le amate mura fiorentine, aveva cercato di tornare nella sua patria natia senza riuscirci. Che beffa! Che rabbia! Che dispiacere per lui, che a Campaldino, nella piana sotto il castello di Poppi, così simile al palazzo della Signoria, si era battuto a cavallo, in prima fila, per le guelfe insegne fiorentine contro il ghibellino gonfalone aretino, al fianco dell’amico fraterno Cecco Angiolieri.
700 anni di Dante. Mille di questi giorni!
Che rabbia e che dispiacere che per l’antipatia dimostrata a Bonifacio VIII, che non è che fosse un sant’uomo!, la sua Firenze, che lui aveva cercato di celebrare e di rispettare in ogni modo, lo avesse cacciato con l’ignominiosa accusa di estorsione e baratteria. Una trappola, ecco quella che fu ordita dagli sgherri di Bonifacio, salito al soglio pontificio grazie a Celestino VII che, a detta del Divin poeta ‘fece per viltade il gran rifiuto’.
Ancora la vedo la rabbia di Dante e il suo struggimento, la voglia intensa di tornare tra le strade di Firenze e la rabbia mista a orgoglio, quel dire: sono disposto a tutto per tornare a casa, ma non fatemelo fare. Chiese scusa, Dante, colui che da Foscolo fu definito ‘il ghibellin fuggiasco’ e che invece era un fierissimo guelfo oppositore solo della figura di Bonifacio. Dove lo vedo mi chiedi, caro lettore?
Presto detto: nella faccia crucciata della statua di Piazza Santa Croce a Firenze, quel monumento fiorentino dedicato dall’Italia al suo più grande letterato e poeta. Sai, caro iCrewer, nel 1865 Firenze venne scelta come capitale del neonato regno d’Italia proprio perchè in quell’anno si celebrava il seicentenario della nascita di Dante, proprio come adesso si celebra il settecentenario della sua morte. E furono, per quell’occasione, investiti tanti soldi, fu conclusa la grande chiesa di Piazza Santa Croce con la facciata che niente ha a che vedere con il corpo della chiesa romanica.
Furono demolite le mura medievali della città e sostituite con i viali di circonvallazione sull’esempio di Parigi. Insomma, fu un grande evento, una sorta di Expo, con turisti che occupavano le strade, celebrazioni a non finire e quella famosa statua con l’espressione severa e le ciglia aggrottate che guardava Firenze dal centro della piazza (fu poi spostata sul sagrato della chiesa, dove si trova adesso).
Certo, certo, mi dirai: nel 2021 si celebra la morte di Dante, non la sua vita quindi beh, alla fin fine, non è che ci sia molto da festeggiare. Lasciamo pure i festeggiamenti al mondo letterario e alle sue iniziative. Guardiamo solo la splendida Divina Commedia commentata da Vittorio Sermonti che sarà pubblicata da Garzanti a Marzo. O il volume su Dante del prof. Alessandro Barbero che ha scalato le classifiche di Amazon.
700 anni di Dante. Mille di questi giorni!
Eppure c’è qualcosa che a me, polemica del ‘si stava meglio quando si stava peggio’, proprio non va giù. C’è questo spirito di Dante, esule in patria, che nel 2021, ancora più che in altri anni, è stato tradito e vilipeso. Il poeta che creò l’Italia, lo chiamano alcuni, quello che ne ha inventato la lingua, che l’ha resa un tratto comune delle popolazioni italiche. Il poeta guerriero, l’uomo che non tollerava i parvenue, che dava peso alla provenienza, al sangue, ai natali.
A che punto siamo noi italiani? A che punto della nostra storia siamo arrivati in questi 700 anni di Dante e in che direzione vogliamo andare? Io non l’ho capito e dall’alto del suo sguardo marmoreo, Dante mi sembra che rimproveri i fiorentini e anche gli italiani tutti per non sapere dove andare. Per non avere una direzionoe ma soprattutto, e questa è la cosa che trovo spaventosa: non c’è una base.
Quando una Nazione si muove verso un obiettivo, quando ha un progetto politico, quando prende decisioni politiche che hanno un sottofondo di idee, di visione del mondo, giuste o sbagliate, le scelte hanno una consistenza. Quando al contrario un Paese arranca nel buio senza sapere dove andare, senza un obiettivo, affidandosi al tecnico salvatore di turno, ecco allora Dante ha ragione a essere arrabbiato. Dante ha ragione a rimproverare gli italiani e questi ultimi 700 anni di Dante sono passati invano, purtroppo.
Me la sento quasi la voce che esce dalla statua: io v’ho fatto, io vi rimangio! O ancora meglio, considerato il rancore verso i suoi connazionali ‘O fiorentini m’avete esiliato! Prendete la merda che Dio v’ha mandato!’ (Cit. Riccardo Marasco). E lo sapeva bene Dante cosa significa non avere più un obiettivo, uno scopo, una strada da seguire, lui esiliato a vita dalla sua adorata Firenze, lui costretto a mendicare un luogo che gli fungesse da seconda patria.
Il centro storico di Firenze è taggato (Dante lancerebbe anatemi furibondi su questa parola!) con lapidi posizionate ai cantoni delle strade che ricordano la vita di Dante: dalla casa Portinari, quella di Beatrice, alla dimora che fu la sua e della famiglia Alighieri. Quelle strade oggi deserte, quelle piazze senza turisti, senza fiorentini, senza lavoro nè vita, che di vita e di morte ne hanno vista tanta e non si rassegnano a questa apatia.
E adesso basta, non piango più su quello che poteva essere e non è stato, nè sugli insegnamenti che Dante ha dato nella Divina e che sono stati dimenticati da noi tutti, meritevoli dei più bassi gironi infernali, privi ormai di una marcata delimitazione tra quello che è lecito e buono e quello che non lo è.
Festeggio Dante letterato, provo a dimenticare l’orgoglioso e fiero Dante politico e fiorentino, e auguro a noi italiani altri mille anni di festeggiamenti!