Caro iCrewer ne è passato di tempo da quel lontano 1947, ben 73 anni, eppure non invecchia mai!
Era il 22 dicembre quando, nell’aula della Camera a Montecitorio, gremita in ogni ordine e grado, si concretizzò un grande appuntamento: l’approvazione della nostra Costituzione e la sua promulgazione a cura del Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola.
1947 Accadde che… La Costituzione Italiana è approvata.
Una svolta epocale, studiata per un intero anno da tutte le forze politiche, il cui compito è stato redigere una nuova carta costituzionale, a seguito anche delle mutate condizioni dell’assetto politico dopo la caduta della monarchia e, di conseguenza, anche del relativo Statuto Albertino in vigore sin dal 1861, non conciliabile con il mutato assetto repubblicano.
La nostra Nazione stava emergendo da un momento difficile, l’immediato dopoguerra aveva portato una grave crisi economica e sociale, e c’era la necessità di dare un segnale di solidità e di lungimiranza per le future generazioni.
La storia si ripete, oggi stiamo vivendo similmente quel periodo, e la nostra Costituzione rimane, a mio parere, l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi. Con i suoi 139 articoli (cinque dei quali saranno abrogati con la legge costituzionale del 2001) divisi in quattro sezioni: Principi fondamentali (articoli 1-12); Diritti e doveri dei cittadini (articoli 13-54); Ordinamento della Repubblica (articoli 55-139); Disposizioni transitorie e finali (articoli I-XVIII), continua a rimanere un inno di speranza e di fede in grado di porre un argine invalicabile agli errori e ai soprusi del passato. Non a caso è stata definita la Costituzione più bella del Mondo.
Dove comincia il presente? Quando nascono le forze, i conflitti e le idee che governano la nostra epoca? È la domanda che si pone Elisabeth Asbrink con il suo libro:
“Ci trasporta in un anno cruciale del ‘900, nel momento in cui l’Occidente, reduce dal secondo conflitto mondiale, è di fronte a una serie di bivi e possibilità ancora aperte, e compie scelte decisive per i nostri giorni. È il 1947 quando scoppia la Guerra fredda, viene istituita la CIA e Kalasnikov inventa l’arma oggi più diffusa al mondo; l’ONU riconosce lo Stato di Israele e il figlio di un orologiaio egiziano lancia il moderno jihad.
È solo nel ’47 che viene redatta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, prima sconosciuti all’umanità quanto il termine «genocidio», coniato da un giurista polacco che ha perso la famiglia nei Lager. E mentre una rete clandestina di organizzazioni internazionali mette in salvo i gerarchi del Reich e rilancia gli ideali fascisti, Primo Levi riesce a pubblicare “Se questo è un uomo”, un disilluso George Orwell scrive il profetico “1984” e Christian Dior crea il suo controverso New Look.
In mezzo a tutto questo, tra le masse di profughi ebrei che attraversano l’Europa in cerca di una nuova vita, c’è il padre dell’autrice, un orfano ungherese di dieci anni, davanti a una scelta che deciderà il suo futuro. In un racconto poetico e documentatissimo, che ci cala nei destini di personaggi d’eccezione e persone comuni, Asbrink ricompone il puzzle di un anno emblematico per la sua identità personale e per quella collettiva.”
Invece, nei primi mesi del 1947, l’Italia firma a Parigi il Trattato di pace cedendo l’Istria, Fiume e Zara alla Jugoslavia, Rodi e il Dodecanneso alla Grecia, Briga e Tenda alla Francia; mentre il territorio libero di Trieste viene diviso in due zone: zona A controllata dagli anglo-americani, zona B dagli Jugslavi.
Sulla scia della politica il 1947 ci “regala” la nascita di Antonino Cassarà, detto Ninni. Palermitano di nascita, impegnato nella lotta alla criminalità organizzata, braccio destro operativo del Giudice Falcone. Il suo lavoro di indagine sulla mafia palermitana lo farà partecipare alla celebre inchiesta “Pizza Connection”; è a lui che si deve il famoso rapporto “dei 162” che svela, per la prima volta, l’organigramma di tutta “Cosa nostra” grazie anche alle prime dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia.
Tuttavia la ferocia della mafia non si ferma e Cassarà troverà la morte ad aspettarlo sotto casa ad opera di un commando di nove uomini che, armati di kalashnikov, lo raggiungeranno con duecento colpi d’arma da fuoco.
Come puoi ben vedere mio caro iCrewer il 1947 è veramente un anno di tutto rispetto. Gli orrori della Seconda guerra mondiale non sono ancora scomparsi dalla mente degli uomini e le istituzioni internazionali di trovano impegnate in una complessa ridefinizione della geografia di alcuni territori, i cui risvolti segneranno profondamente gli equilibri politici dei successivi decenni… Mi riferisco alla decisione adottata dall’Organizzazione Generale delle Nazioni Unite – ONU – che stabiliva un piano di spartizione della Palestina, dando luogo alla nascita di uno stato arabo e di uno ebraico, mentre Gerusalemme veniva posta sotto il controllo internazionale.
Tutto ciò portò ad una feroce contesa tra i popoli, l’aspetto più drammatico fu la diaspora dei palestinesi costretti a fuggire o sgomberati con la forza, cui corrisponde la fuga degli ebrei dai paesi arabi per il diffondersi di sentimenti anti-ebraici.
Fu solo il primo att di una lunga sci di guerre e attentati terroristici, che insanguineranno successivamente l’intera area mediorientale, e l’inizio di una crisi politica ma, soprattutto, umanitaria tutt’ora insoluta per le condizioni del popolo palestinese.
In questa Italia da ricostruire in cui la priorità era un paese da risanare con la riqualificazione degli edifici abitatiti e produttivi, circolava una discussione che teneva banco: l’opportunità o meno di includere il recupero dei teatri.
L’idea di procedere in questa idea venne a due “giovani”, Giorgio Strehler attore triestino, e Paolo Grassi impresario d’arte milanese. Entrambi innamorati del palcoscenico, entrambi con un vissuto nell’impegno sociale e il dramma vissuto durante la guerra e l’oppressione del regime fascista, che li ha legati ancor di più nel loro rapporto di amicizia.
La loro posizione, esposta in un articolo sulla rivista Sipario, aveva come principio cardine la visione del teatro come un “pubblico servizio nato per la collettività”, che per questo necessitava di uno sforzo comune per sottrarlo alla dimensione contingente di luogo per pochi eletti, riconsegnandolo alla sua precipua funzione di “strumento di elevazione spirituale e di educazione culturale a disposizione della società”.
Ciò implicava la creazione di un’impresa culturale meno vincolata alla logica degli incassi e più attenta alla funzione sociale del teatro. L’obiettivo era di garantire un cartellone di spettacoli di alto livello, rendendolo fruibile a una platea più ampia possibile (comprensiva delle fasce meno abbienti come studenti e media e piccola borghesia) attraverso forme di abbonamento più convenienti.
Fu così che avvenne la fondazione del Piccolo teatro della Città di Milano, che Strehler e Grassi inaugurarono mercoledì 14 maggio del 1947, nell’ex cinema Broletto di via Rovello (a due passi dal Castello Sforzesco), convertito in sala teatrale da cinquecento posti. Il sipario si alzò per la prima volta sul dramma “L’albergo dei poveri” del drammaturgo russo Maksim Gor’kij.
La sua fondazione segnò la nascita in Italia del primo teatro stabile, di proprietà del Comune e gestito come ente autonomo pubblico, a differenza dei teatri ordinari affidati alla gestione di privati. Diretto dai due fondatori per vent’anni, il repertorio proposto era di livello internazionale e alternava una rilettura dei grandi classici del passato, come Shakespeare e Goethe, al teatro impegnato del primo Novecento, come Luigi Pirandello e Bertold Brecht.
Al Giro d’Italia vince Fausto Coppi, reduce dalla guerra, davanti a Gino Bartali, eterno rivale.
Hai mai sentito qualcuno dire: “io i soldi me li metto sotto il mattone”; non è un semplice modo di dire, c’erano letteralmente montagne di biglietti di banca nascosti dagli italiani sotto il mattone – era l’unico rifugio di chi aveva fatto soldi con la guerra – , e nel 1947 non valevano più nulla, bisogna ricominciare tutto daccapo, perchè la svalutazione aveva “bruciato” tutto.
Tanto ancora ci sarebbe da scrivere di questo anno cruciale, mi sono limitata alle notizie già salienti e forse momentaneamente accantonate e non dimenticate, perchè è con la memoria di ciò che siamo stati che ci può aiutare a guardar ad un futuro migliore.
Alla prossima.