Il 1943 è un anno cruciale per la storia italiana. Lacerata e ridotta a brandelli da una guerra fortemente voluta dal regime fascista, l’Italia è costretta ad accettare la sconfitta. La fine seconda guerra mondiale segna anche la fine dell’era fascista e di tutti i sogni di gloria mussoliniani che avevano caratterizzato il famigerato ventennio. Un anno con un susseguirsi di avvenimenti che cambiarono il volto e il colore del Bel Paese, fino ad allora vestito di nero.
Sembra così lontano da noi il 1943 tanto che i racconti degli anziani, ormai novantenni, sulla fine della seconda guerra mondiale appaiono come fole, leggende, racconti inventati, ricordi che la memoria ingigantisce, come fa il sole con le ombre al tramonto. Eppure i pochi reduci di quel tempo che ancora possono raccontare fatti e avvenimenti, hanno vissuto sulla loro pelle le atrocità della guerra e ne conservano il ricordo vivido e doloroso, come succede spesso ad una certa età quando è nitido fin nei minimi particolari il passato remoto, mentre la memoria diventa labile per il presente.
Sono passati 77 anni da allora: chi è nato in quell’anno non può ricordare le atrocità di una guerra mondiale voluta dal regime nazi-fascista di Hitler e Mussolini e conosciuta solo attraverso i racconti dei padri. I figli di quel 1943 furono bambini nati nel timore dei bombardamenti, nati con la paura di padri e madri preoccupati di non poter dare un futuro degno di questo nome ai propri figli e con il terrore di non poterli vedere crescere. La vita però, forte e potente più di ogni tragedia umana si rinnova e nasce anche in mezzo alle più disastrose macerie.
Così, quei figli del 1943 nacquero e crebbero con le memorie dei racconti di guerra e maturarono la consapevolezza che è importante la conoscenza della storia, anche di quella spicciola, minuta, di quelle piccole storie personali che si intrecciano con i grandi avvenimenti: è importante la memoria, è importante la conoscenza per non ricadere negli stessi errori.
1943: lo strazio della guerra
Quel 1943 resta scolpito nella Storia e nella mente di chi lo ha vissuto, come in quella di chi ha udito le testimonianze dirette, spesso fatte con la voce rotta e le lacrime agli occhi per i dolori, mai sedati, che ogni guerra regala a piene mani a chi la vive da vicino. La paura, la fame, i bombardamenti, le razzie, gli sfollamenti, l’incertezza, la lotta per la sopravvivenza e molto altro ancora, hanno segnato in quell’anno, la vita e la memoria di chi c’era, suo malgrado.
Ho ascoltato da ragazzina storie strazianti e straziate di quel 1943: nelle lunghe e fredde sere d’inverno, attorno al focolare o in quelle in calde e stellate delle notti siciliane quando i grandi, riuniti sull’uscio delle abitazioni, raccontavano le loro esperienze di bimbi nati e vissuti nell’era fascista: piccoli balilla o giovani italiani nutriti con il culto della patria più che con il pane e poi mandati a morire come pecore al macello da un regime totalitario con mire espansionistiche, miseramente fallite.
Ascoltavo e mi sembravano racconti inventati, come quelli degli orchi e degli stregoni che la mamma mi leggeva ogni tanto. Orchi con le camicie nere che a volte parlavano in tedesco e requisivano muli e asini, unici mezzi di trasporto e di lavoro di quel periodo nei paesini siciliani. Stregoni con i fucili imbracciati che sparavano e uccidevano senza pietà chiunque fosse sospettato di non si sa bene cosa, quasi un diletto per quegli stregoni e quegli orchi in divisa, un macabro tiro al bersaglio, con la trascurabile differenza che al posto della sagoma di legno ce n’era una umana.
Ascoltavo attenta quei fatti accaduti decenni prima e mi sembrava fossero avvenimenti ancora attuali, tanto era il dolore che coglievo da quelle voci e spesso anche lo sbrilluccichio di una lacrima sottolineava la verità di quei racconti di vita vissuta. Fu forse allora che anch’io cominciai ad amare la storia e imparai quanto è importante conoscerla, quanto è importante apprendere dal passato nel quale affondano le nostre radici.
1943: lo sbarco degli alleati in Sicilia
Quel lontano 1943 vide gli italiani combattere gli uni contro gli altri: lo strazio della guerra civile tra il Sud e il Nord. Il Sud aveva visto sbarcare le truppe alleate a Marsala che, assieme alla liberazione dai nazi-fascisti, portavano speranze di pace e cibo in scatola da regalare alla fame atavica della popolazione che si poteva tagliare a fette. Al nord invece, il regime fascista resisteva con gli ultimi guizzi di violenza e la parvenza di una repubblica, quella di Salò che restava abbarbicata al potere sulla pelle dei giovani soldati, requisiti e mandati a morire ancora ragazzini.
Ora, dopo tanto strazio, finalmente l’Italia, con l’armistizio firmato a Cassibile in provincia di Siracusa, usciva dalla seconda guerra mondiale e da un nero regime che l’aveva oppressa per un ventennio. Anche se per ottenere la totale liberazione si dovettero aspettare altri due anni e non furono di certo una passeggiata.
Un’Italia divisa politicamente in due, una guerra fratricida che vedeva due Italie, due governi, due eserciti ma la stessa miseria, la stessa fame, la stessa disperazione che esigeva e premeva per trasformarsi in speranza, in futuro migliore. Arrivò con gli anglo-americani quel futuro di speranza e arrivarono anche il boogie woggie, il chewingum, i legumi e la carne in scatola e ai poveri contadini siciliani, quelle lattine sembravano granate pronte per scoppiare non appena si prendevano in mano.
1943, dov’era la cultura?
Mi sono chiesta trattando il 1943, se in un tempo di guerra e desolazione scrittori e poeti trovassero il modo di scrivere e pubblicare le loro opere come in tempi normali: le risposte che mi sono data, sono in parte avvalorate dalle ricerche che ho effettuato e che, devo dire, sono state abbastanza infruttuose. La guerra con il suo carico di desolazione e distruzione lascia poco spazio all’estro e all’inventiva degli autori. Inoltre, un regime dittatoriale come quello fascista, avversava, quando non zittiva con metodi feroci, qualunque voce contraria alle sue direttive. E se ciò avveniva in tempo di pace, figuriamoci in tempo di guerra.
Inoltre, non trovando pubblicazioni degne di rilievo relative al 1943, ho dedotto che la guerra quando è nel suo pieno svolgimento, non lascia spazio alla cultura, a meno che non sia al servizio del potere. Forse solo a guerra finita, si ha modo di metabolizzare, raccontare e scrivere quanto vissuto e di esempi ne abbiamo tantissimi negli anni successivi al 1943.
La cultura letteraria quindi, nel 1943 era momentaneamente assente o meglio, forse era in attesa di potersi esprimere più liberamente in seguito. Tanto è vero che neanche il premio Nobel per la letteratura fu assegnato in quell’anno: quando tuonano le bombe il ticchettio della tastiera a comporre parole da raccontare, tace.
In tanta desolazione però, il 1943 ha saputo gettare un ponte su un futuro migliore: sul fango delle macerie lasciate dalla guerra, affondano le radici di nuove piante che, caparbie, sanno farsi spazio anche in condizioni avverse. E quell’anno, fra i sacrifici di uomini che non hanno esitato a dare la vita per la libertà, vide lo sviluppo della Resistenza, dalla quale ebbe vita la nostra attuale Democrazia.
E a proposito di nascite…
Strano come un anno di guerra e desolazione vide la nascita di tanti bambini, futuri personaggi famosi in vari campi. La vita si rinnova con grande forza e nessuna guerra potrà mai sconfiggerla. Così per curiosità e perchè ne sono rimasta io stessa sbalordita, ti dico che nel 1943 sono nati un numero impressionante di personaggi della politica, della cultura e dello spettacolo che hanno fatto storia in vari settori: Janis Joplin, George Harrison, Mick Jagger, Joni Mitchell, Jim Morrison, Keith Richards, Lucio Dalla, Lucio Battisti, Roberto Vecchioni, Raffaella Carrà, Mario Monti, Marcello Pera, Barbara Alberti, Vittorio Feltri, Laura Biagiotti… e tanti altri che non cito per ovvi motivi di spazio.