“O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma”
Il 28 ottobre del 1922, circa 25.000 camicie nere, guidate da Benito Mussolini, marciavano su Roma con un obiettivo ben preciso: ottenere con la forza la guida del Paese e formare un nuovo governo. Il 30 ottobre, quando ormai l’orda di fascisti era più che raddoppiata e si preparava a invadere la capitale, il re Vittorio Emanuele III si rifiutava di proclamare lo stato d’assedio e incaricava Mussolini di formare il nuovo esecutivo. Iniziava così per l’Italia il ventennio fascista, che si concluderà formalmente il 25 luglio 1943.
Non fa mai male tornare a parlare della nostra storia, che tendiamo spesso a dimenticare o a riscrivere a nostro piacimento, sopratutto in un periodo come questo, dove un emulatore fasullo di Mussolini si aggira a piede libero per l’Italia e legittima l’odio verso gli altri, il razzismo e la violenza. Per cambiare un Paese e far sì che la storia non si ripeta, c’è bisogno di ricordare il passato e di non lasciar cadere nell’oblio gli errori commessi, ma credo che ci sia anche bisogno di ricordare e prendere esempio dalle figure positive della storia, da quei personaggi che hanno combattuto con coraggio per l’indipendenza del proprio Paese, decisi a renderlo un posto migliore, e che, fino alla fine, hanno creduto nei loro ideali di giustizia e libertà. Per questo, voglio parlarti di quel che accadde il 22 agosto del 1922 e dell’uomo che, per sedici anni, non si è mai arreso e ha continuato a lottare per il proprio Paese: Michael Collins.
“Give us the future, we’ve had enough of your past. Give us back our country to live in, to grow in, to love…”
Il 22 agosto 1922, quando stava ormai scendendo la sera sulla contea meridionale di Cork, una Rolls Royce faceva il suo ingresso nel piccolo villaggio di Béal na Bláth. Nell’auto, al fianco del generale Emmet Dalton, c’era Michael Collins, comandante dell’Esercito Nazionale e presidente del governo provvisorio dell’Irlanda del Sud. Erano circa sei mesi, da quando era stato firmato il Trattato Anglo-Irlandese, che una guerra civile insanguinava il Paese, mettendo l’uno contro l’altro quei cittadini che neanche un anno prima combattevano fianco a fianco, per cercare di ottenere l’indipendenza dell’Irlanda. Da una parte vi erano i sostenitori del trattato, l’Esercito Nazionale, dall’altra quel che restava della vecchia IRA, composta da tutti quei repubblicani contrari al trattato che rivendicavano una Repubblica irlandese unita. Nel giro di qualche settimana Collins, da eroe, rivoluzionario e fratello, era diventato per molti un nemico, un traditore, colui che era sceso a patti con gli inglesi e si era accontentato di una mezza vittoria. E ne era consapevole; sapeva che firmando l’alleanza con l’Inghilterra aveva anche firmato la sua condanna a morte. Quel che non si aspettava era di morire nella sua stessa contea, dove era nato, cresciuto e nella quale e per la quale aveva lottato sedici anni. L’imboscata avvenne all’incirca alle otto di sera e durò mezz’ora. Una mezz’ora in cui Michael Collins e i suoi uomini si trovarono costretti a sparare contro i loro stessi concittadini. Collins venne colpito alla testa da una pallottola di un fucile Lee Enfield e morì dopo qualche minuto. Con la morte di Michael Collins, che fino alla fine aveva creduto di “poter porre fine a questa sanguinosa guerra il più presto possibile“, andava anche a morire la speranza in un’Irlanda unita, senza più guerriglie e senza più schieramenti. Se il Trattato del 1921 non aveva garantito l’effettiva libertà per la quale il popolo irlandese aveva lottato e aveva dato la vita, aveva almeno garantito “la libertà di avere la libertà” e aveva posto le basi per costruire una vera Repubblica. Questa era l’idea di Collins, fermamente convinto che se l’Irlanda si fosse mossa tutta insieme, unita, sarebbe riuscita a ottenere quello per cui combatteva da anni. Invece, la guerra civile si trascinò per altri nove mesi, durante i quali persero la vita circa 4.000 irlandesi.
La strada per la libertà: trattato politico e autobiografia di Michael Collins
Leggere La strada per la libertàè sicuramente un buon modo per scavare a fondo nella guerra di indipendenza irlandese, ma è anche un modo per capire chi era davvero il “Big Fellow”. Michael Collins non fu soltanto un leader capace e un abile rivoluzionario, fu anche un grande pensatore e un altrettanto grande politico. Era entrato a far parte della Lega gaelica a soli 16 anni e a 20 si era fatto strada all’interno dell’IRB, un esercito clandestino impegnato a fondare una repubblica attraverso la rivoluzione armata. In poco tempo divenne una delle figure di spicco nel panorama politico irlandese e si fece notare durante la Easter Rising del 1921, uno dei primi tentativi dell’esercito irlandese di ottenere l’indipendenza dal Regno Unito. La rivolta non portò a niente e dette solo modo alle forze britanniche di contrattaccare con violenza: 17 combattenti vennero fucilati e altrettanti vennero mandati nei campi di internamento inglesi. La sconfitta fu disastrosa, ma fu anche un punto di svolta per il popolo irlandese. Furono tanti quelli che glorificarono la rivolta di Pasqua, ma tra questi non c’era Michael Collins. Non vi era niente di nobile, niente di romantico nel perdere la vita per il proprio Paese inutilmente: la Rivolta era stata condotta male, non era stata organizzata e questo aveva provocato la morte di molti irlandesi. Fu in quel momento che Collins, lasciando da parte futili slanci patriottici, capì che se l’Irlanda voleva rivendicare la propria libertà era necessario contrattaccare allo stesso modo, combattere i nemici con le loro stesse armi, usando le loro stesse tattiche. Fu così che, prendendo a esempio le forze di intelligence britanniche, che per secoli avevano controllato l’Irlanda, gli venne l’idea di creare una sorta di rete di spionaggio irlandese che, per mezzo di informatori nascosti tra le forze dell’ordine e tra le più importanti istituzioni inglesi, avrebbe potuto controllare da vicino le mosse del governo britannico. A questa si affiancava l’IRA, l’Esercito Repubblicano Irlandese, che aveva il compito di indebolire le forze dell’Esercito inglese. Finché fu sotto il ferreo controllo di Collins, l’IRA riuscì a ottenere importanti vittorie e a contrattaccare in modo efficace l’esercito britannico; non si procedeva a caso, ma su base strategica; non si doveva cercare la vendetta e lasciarsi corrompere dalla rabbia contro un popolo di invasori e colonizzatori, era necessario mantenere la lucidità e colpire nel punto più debole al momento giusto. Anche in questo stava la grande intelligenza di Michael Collins, che mai una volta si lasciò convincere dalle idee dei movimenti estremisti, che mai una volta lasciò che i suoi ideali di libertà e giustizia diventassero un pretesto per condurre una guerra barbara, mossa dall’odio e dalla sete di vendetta. La sua strategia si rivelò estremamente efficace e mise con le spalle al muro le forze inglesi, che si trovarono senza vie di fuga né possibilità di vittoria: se non avessero reagito avrebbero perso, se avessero reagito con forza, come poi fecero (esemplificativa la carneficina a Tralee per mano dei Black and Tans), il popolo irlandese, unito, sarebbe insorto e, in più, il mondo intero li avrebbe visti per quello che erano, oppressori.
La guerra di indipendenza irlandese si concluse l’11 luglio del 1921, quando Inghilterra e Irlanda firmarono il Trattato Anglo-Irlandese che stabilì la creazione dell’Irish Free State, comprendente 26 delle 32 contee di Irlanda, e dell’Irlanda del Nord. Come già detto, non fu una scelta che venne vista di buon occhio da tutti e, quando ancora l’Irlanda stava cercando di risollevarsi dopo anni di guerra, i repubblicani più radicali formarono un nuovo esercito, una nuova IRA, che si sarebbe schierata contro coloro che avevano tradito l’Irlanda prendendo accordi con il governo inglese. Fu così, che un uomo che per anni aveva combattuto tenacemente e con astuzia contro la tirannia inglese, morì per mano dei suoi stessi compagni, di quei fratelli irlandesi con i quali aveva lottato e con i quali aveva condiviso lo stesso sogno, un sogno di libertà e di giustizia per un Paese in cui era nato e in cui credeva.