1917 accadde che: l’Italia e la disfatta di Caporetto, Ungaretti compone Mattina
Ci sono eventi che per la loro imponenza e la loro importanza finiscono per condizionare tutti gli accadimenti che in conseguenza e a seguito degli stessi si verificano: ciò che è quello che è accaduto al 1917.
Questo è un anno che, volente o nolente, riflette – e risente – degli eventi bellici della Prima Guerra Mondiale che, come sapremo, riguardò gli anni che vanno dal 1914 al 1918. Una guerra che sembrava non volesse mai avere fine, tanto che si accaparrò il nome di Grande Guerra, un evento bellico al termine del quale molte potenze si ritrovare sgretolate quasi fossero castelli di sabbia; la stessa, peraltro, decretò la fine di quattro grandi imperi: Asburgico, Russo, Tedesco e Turco.
Lo stato di devastazione lasciato dal Primo Conflitto bellico è sotto gli occhi di tutti: il Governo turco fece deportare – e trucidare – migliaia di persone perché ritenute facenti parte della minoranza armena, i tedeschi utilizzarono per la prima volta il gas asfissiante nel 1915, e insomma, pur senza saperlo questa Guerra, una volta terminata, aveva già gettato le basi per il successivo conflitto che sarebbe avvenuto a distanza di qualche anno.
1917 accadde che: 24 ottobre la disfatta di Caporetto
L’Italia decise di entrare in Guerra solo il 24 maggio del 1915, quasi un anno dopo l’inizio e quando già le Alleanze erano già state decise. C’è però un evento che riguardò il nostro Paese da vicino e che, sebbene dallo stesso siano trascorsi più di cento anni, ancora oggi è vivido nella mente di noi tutti, ovvero: la battaglia di Caporetto avvenuta il 24 ottobre del 1917.
Cosa accadde in quel particolare momento storico? Successe che l’Italia si scontrò con l’esercito austro-ungarico e l’Impero germanico: fiumi di gas tossici vennero inalati dai nostri guerrieri, tonnellate di proiettili piovvero addosso ai nostri uomini come chicchi di grandine.
I soldati austriaci e tedeschi si accanirono con ferocia sui soldati italiani, il nostro esercito cercò di incedere nella propria missione e resistere, ma era allo stremo: quella giornata – di certo tra le più lunghe – aveva assunto quel sapore amaro della sconfitta, triste per la perdita degli uomini; fu così che i Generali dell’esercito si convinsero a battere in ritirata, arretramento che però avvenne solo dopo quattro settimane.
La sconfitta di Caporetto ha segnato la perdita di oltre quarantamila soldati italiani uccisi o gravemente feriti e di altrettanti uomini caduti prigionieri del nemico, prigionia che di certo ne avrà inesorabilmente segnato le sorti.
1917 accadde che: 26 gennaio Giuseppe Ungaretti compone Mattina
In questo clima ostile, però, vi è chi riesce comunque a guardare oltre e a comporre opere destinate a restare per sempre impresse nella memoria – e nella storia – del nostro Paese: Giuseppe Ungaretti concepisce uno dei suoi più importanti componimenti, ovvero Mattina.
Il poeta, oltre ad essere stato uno dei più illustri mai esistiti, è stato anche il massimo esponente dell’ermetismo, corrente di pensiero che non è propriamente corretto definire come tale ma piuttosto come un atteggiamento assunto da più poeti e che, al contempo, indicava la difficoltà di comprensione dei versi che questi andavano a creare.
In effetti, il termine ermetico per sua etimologia ti suggerisce qualcosa che si pone come impenetrabile: cogliere il senso della poesia ermetica non è così di facile e pronta cognizione. Ungaretti, è risaputo, ne fu il maggiore rappresentante e proprio nel 1917 ci regala un testo brevissimo che puoi ripetere in un soffio di voce: M’illumino d’immenso.
Il componimento è breve sì, ma il suo significato è intenso e sfocia in una riflessione che, in fondo, potrebbe mettere a nudo l’anima di chiunque. Ungaretti scrive questi versi da Santa Maria La Longa, proprio mentre era di stanza, come volontario, sul fronte del Carso; la poesia, inizialmente, era molto più lunga e prevedeva altri versi: M’illumino / d’immenso / con un breve / moto / di sguardo, e avrebbe dovuto intitolarsi Cielo e Mare.
Successivamente lo stesso decise di sfoltirla e di ridurla a due semplici versi liberi. Possiamo suddividere questo ermetico componimento in due parti: la prima M’illumino che si riferisce direttamente al poeta stesso, ad un aspetto esclusivamente esteriore, e la seconda – continuazione diretta della prima – d’immenso, dove, al contrario, possiamo cogliere il sentimento interiore di Ungaretti.
In quest’ultimo verso, in particolare, si percepisce quel significato recondito e profondo del rapporto con Dio, appunto l’immenso. In fondo è come se l’esimio uomo avesse voluto dire che dopo l’oscurità e il buio della Guerra, il sorge è pronto a risorgere, la luminosità appunto. È proprio qui che si denota l’utilizzo della figura retorica della sinestesia.
In tale opera, tra l’altro, possiamo cogliere quella che è la figura retorica del climax, cioè quella gradazione ascendente che vede il passaggio da un discorso all’altro, o l’utilizzo di termini specifici in un crescendo di valori via via sempre più intenso. Quindi, in questo caso specifico, il climax ce lo ritroviamo tra la prima e la seconda parte.
1917 accadde che: la letteratura di questo periodo
Per ciò che concerne la letteratura che possiamo trovare nel 1917, due opere in particolare hanno attirato la mia attenzione. La prima è strettamente attinente al momento storico vissuto ed è, altresì, una straordinaria testimonianza rilasciata da uno dei più celebri scrittori britannici, ovvero Rudyard Kipling, insignito del premio Nobel proprio in questo stesso anno.
Lo scrittore sentì molto il peso del conflitto mondiale tanto che proprio agli inizi della Grande Guerra divenne corrispondente dapprima sul fronte occidentale e poi, nel 1917, su quello italiano.
Il risultato fu La guer
Lo scrittore inglese s’innamora di questi soldati di montagna e ne diventa uno dei cantori più originali raccontando episodi di vita quotidiana e facendo conoscere le loro imprese anche oltre Manica. Una breve storia degli Alpini di Massimo Zamorani completa il volume, dando merito a uno dei più gloriosi corpi militari del nostro Paese.»
La seconda opera non è altro che la storia di una donna, Elizabeth von Arnim, una romanziera britannica il cui vero nome era Mary Annette Beauchamp, ma che alle volte utilizzava anche lo pseudonimo di Alice Cholmondeley. Nel 1917 la scrittrice realizza un romanzo la cui prima stesura, avvenuta appunto in questo anno, avvenne in lingua inglese e fu un enorme successo.
La storia narrata prese spunto da talune vicende accadute in prima persona proprio all’autrice e alla figlia sedicenne, Felicitas: amata figlia che scomparse prematuramente; nonostante i gravi lutti Elizabeth non perse mai
«Berlino 1914. Christine, giovane violinista inglese di raro talento, si trasferisce in Germania per un anno di studio. È felice, conosce anche l’amore, ma presto capisce con sgomento che l’intera Germania brama la guerra e inneggia ai valori di sopraffazione e predominio sulle altre nazioni.
Quando infine scoppia il conflitto, e l’Inghilterra si schiera a fianco dei nemici dei tedeschi, Christine è in pericolo. Scritto con lo pseudonimo di Alice Cholmondeley, il romanzo prende spunto dalla vicenda privata della von Arnim e di sua figlia Felicitas, scomparsa appena sedicenne in Germania. All’uscita in Inghilterra nel 1917 il libro ebbe un successo straordinario.»
Un romanzo definito da Natalia Aspesi de La Repubblica così: «Una folla di raffinati lettori ha scoperto a poco a poco i romanzi di questa scrittrice ironica, spregiudicata, fuori da ogni corrente letteraria, spesso crudelissima nel descrivere una società boriosa, superficiale, vecchia, ingiusta soprattutto verso le donne.»
Il nostro viaggio per oggi termina qui, comprendo bene che gli eventi narrati non sono certo intrisi di gioia o spensieratezza ma è pur vero che bisogna sempre avere contezza di tutto ciò che attorno a noi accade, di tutto quanto riguardi, in particolare, gli eventi pregnanti che compongono la nostra storia; che siano eventi lieti o meno, è essenziale conoscere il nostro passato per imparare, fare ammenda e tramandare ai posteri il nostro sapere.