Nel 1903 l’Italia stava vivendo il suo periodo d’oro. L’età giolittiana, che si concluderà poi nel 1914, aveva portato a una grande stabilità sia politica che economica: il settore dell’industria era in crescita, quello automobilistico aveva sempre maggior successo, tante erano le opere pubbliche realizzate, come la creazione di acquedotti e la bonifica di paludi, e da tempo si parlava di nazionalizzazione delle ferrovie e delle reti telefoniche. Anche il governo, una volta tanto, era unito: la maggioranza dei parlamentari apparteneva alla corrente liberale, ma poteva contare anche sull’appoggio dei socialisti e dei cattolici. Giolitti non aveva però fatto i conti con il Sud d’Italia che, mentre il Nord andava incontro al suo massimo sviluppo, rimaneva sempre più indietro, lasciato a se stesso e quasi dimenticato. Questa fu la premessa che dette poi avvio ai conflitti sociali nati nel 1904 e al grande sciopero generale e che andò a minare quella serenità apparente in cui l’Italia si crogiolava da qualche anno.
Nel 1903 in Italia due furono le più importanti pubblicazioni letterarie ed entrambe sono attribuibili a Gabriele D’Annunzio: la raccolta di liriche Alcyonee il poema autobiografico Maia. Siccome non nutro una particolare simpatia per D’Annunzio e non conosco in modo approfondito le sue opere, ho deciso di non occuparmene e di rivolgermi altrove: in Francia, dove Zola si batteva per la verità, nel Regno Unito, dove Conan Doyle faceva resuscitare il suo celebre personaggio, e, infine, negli Stati Uniti, dove Jack London pubblicava Il richiamo della foresta.
Nel 1903 esce postumo La Verità, scritto anticlericale e politico di Émile Zola, ultimo romanzo facente parte del ciclo “I quattro vangeli” e trasposizione dell’affare Dreyfus. Già nel 1898 Zola si era interessato al caso e aveva pubblicato sul giornale socialista L’Aurore il poi celebre editoriale J’accuse, nel quale denunciava le irregolarità del processo Dreyfus e puntava il dito contro tutte le persone coinvolte nel caso, “nemici della verità e della giustizia“. Questo costerà a Zola una condanna per calunnie, anche se l’articolo riuscì a calamitare l’attenzione dell’opinione pubblica su un clamoroso errore giudiziario che sarebbe stato altrimenti dimenticato in breve tempo. Era il 1894 quando i servizi segreti informarono il governo francese della presenza all’interno dell’esercito di una talpa, che forniva informazioni sensibili all’Impero tedesco. A seguito di alcune indagini frettolose e superficiali, Alfred Dreyfus, allora capitano dell’esercito francese, venne dichiarato colpevole di alto tradimento per spionaggio, venne degradato in maniera umiliante e, infine, condannato all’esilio sull’Isola del Diavolo. Le prove erano scarse, se non inesistenti, il processo era stato condotto in modo sommario, ma l’accusa era stata unanime; Dreyfus, ebreo nato in Alsazia, era il capro espiatorio perfetto e alle maggiori cariche dello stato poco importava che fosse colpevole o meno. In La Verità un giovane ebreo viene trovato ucciso e violentato e, a seguito di un processo condotto in modo sbrigativo, la colpa ricade sullo zio della vittima, in realtà innocente. Il colpevole si rivelerà essere un prete cattolico. Con questa ampia metafora Zola riproponeva il problema dell’antisemitismo che costò dodici anni di isolamento forzato al capitano Dreyfus e la credibilità delle istituzioni francesi. Il caso Dreyfus è stato affrontato anche dal grande regista Roman Polanski, che nel 2019 ne ha tratto un film: J’accuse.
Conan Doyle e il ritorno di Sherlock Holmes nel 1903
Il 1903 segna il ritorno di Sherlock Holmes, il detective più amato da intere generazioni e che ancora oggi rivive in sceneggiati televisivi, film e opere letterarie ispirate alle avventure nate dalla pena di Conan Doyle. Nel 1893, con The final problem, Arthur Conan Doyle aveva decretato la morte di Sherlock Holmes, precipitato, assieme al suo acerrimo nemico, il professor Moriarty, nelle cascate di Reichenbach. Come è noto, la morte di Holmes aveva scatenato un putiferio. Centinaia di migliaia di lettori inferociti avevano protestato a gran voce e pretendevano uno Sherlock vivo e vegeto, non un semplice fantasma che si aggirava tra le pagine sbiadite dei taccuini di Watson. Per avere un’idea della popolarità delle imprese di Holmes, basti pensare che la stessa Scotland Yard chiese più volte a Conan Doyle di dare una mano per risolvere alcuni casi particolarmente complessi (ovviamente con scarsissimi risultati). Fu così che, per placare l’ira dei fan, Conan Doyle rinunciò a sbarazzarsi del suo ingombrante personaggio e fu costretto a resuscitarlo. E lo resuscitò con un racconto apparso nell’ottobre del 1903 sullo Strand Magazine, The Adventure of the Empty House. Più della trama in sé quel che interessa davvero del racconto è la storia di come Sherlock Holmes sia sopravvissuto alle cascate del Reichenbach e il suo teatrale ritorno a Baker Street, che ho sempre trovato particolarmente divertente, soprattutto per la reazione di Watson che, trovandosi di fronte l’amico creduto morto, sviene.
Il richiamo della foresta di Jack London
Il richiamo della foresta è il primo romanzo di Jack London, lo scrittore avventuriero dalla vita talmente affascinante e turbolenta da sembrare anch’essa un’opera di finzione. Come succede anche in Zanna Bianca, protagonista è un animale, in questo caso un cane, Buck, figlio di un sanbernardo e di un pastore scozzese. Buck passa le sue giornate nella calda California, nella bellissima villa di un famoso magistrato. La sua vita cambia completamente quando viene acquistato da un violento trafficante, che lo rinchiude in una gabbia e lo porta tra i ghiacci del Klondike, per diventare uno dei tanti cani da slitta per la corsa all’oro. Durante il suo viaggio passa di padrone in padrone, viene maltrattato, picchiato e in più occasioni rischia la morte. Viene salvato dall’ennesimo cercatore d’oro, Thornton, che, a differenza dei precedenti padroni, sembra volergli bene. Insieme si recano vicino a una foresta, alla ricerca di una miniera abbandonata. E’ qui che la vita di Buck viene nuovamente stravolta, quando, per la prima volta, sente il richiamo della foresta e si unisce a un branco di lupi. Come ci è stato poi raccontato, lo stesso London partecipò alla corsa all’oro nel Klondike nel 1897 e sembra che avesse portato con sé due libri e poco altro: il Paradiso perduto di Milton e L’origine della specie di Darwin. Proprio il darwinismo sarà uno dei temi centrali della sua prima opera, dove la lotta per la sopravvivenza fa da padrona.