160 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia, 160 anni al termine di quel periodo che la storiografia ha nominato Risorgimento (con la R maiuscola). 160 anni da quando Vittorio Emanuele II di Savoia portò a termine la missione che suo padre Carlo Alberto intravide propria della loro casata. 160 anni da quando il sud Italia fu rapinato, umiliato, piegato, violato dalla furia del generale Cialdini, che con ogni mezzo lecito (pochi) e illecito (quasi tutti) affogò nel sangue il fenomeno del brigantaggio.
160 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia.
160 anni da quando la Toscana, da Granducato, fu ridotta a una regione di un regno più grande, guidato da uno stato povero, arretrato ma dal sovrano ambizioso. 160 anni da quando i Savoia fecero l’Italia. I Savoia, sì, perchè ormai alla favola dei 1000 che attraversano indisturbati il regno borbonico, non ci crede più nessuno. Hanno voluto fortemente l’Italia persone come Camillo Cavour, Giuseppe Mazzini e Cristina Belgioioso (tra i grandi nomi del Risorgimento mi rifiuto di elencare Garibaldi, un pirata, truffatore e latitante ricercato in mezza Europa), ma l’hanno fatta i Savoia.
Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, l’inno non fu Il canto degli italiani, una marcetta di chiaro stampo giacobino scritto nel 1847 da quel ragazzino che morì combattendo sulle mura del Gianicolo contro il generale Oudinot, quel Goffredo Mameli che era partito da Genova per morire a Roma nel 1849, ma la marcia reale, il trionfo della monarchia.
160 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia, due guerre mondiali, 20 anni di un autoritarismo che portò tutti gli italiani da una parte, e poi dopo tutti dalla parte opposta… I soliti italiani. L’Italia la gridano gli italiani, ma la fanno i regnanti: che poi la forma di stato sia una repubblica e non una monarchia, sembra quasi una questione secondaria a questi lumi di luna.
160 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia, un regno dove il Re era l’ultima voce di un Parlamento attivo, rappresentativo, che decideva e legiferava… una monarchia costituzionale e parlamentare che poi… chissà perchè… con gli anni si è persa. Fino ad arrivare ai giorni d’oggi, quando nell’ambito di una forma di governo repubblicana, una repubblica parlamentare, decide solo il presidente del consiglio, in automatico, con DPCR a raffica, senza consultazioni, opinioni superflue, perdite di tempo in contrattazioni troppo stupidamente democratiche.
Ebbene a me questi 160 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia fanno un pochino sorridere: la Patria è morta e non risorgerà. L’hanno uccisa nel dopo guerra perchè era stata troppo osannata ed esaltata dal Fascismo e nella foga di annullare tutto quello che era sorto con il ventennio, sono riusciti ad annullare anche quello che il Fascismo ha solo ereditato.
L’hanno uccisa calpestando bandiere, inducendo il popolo italiano a disprezzare tutto ciò che è connesso all’interesse italiano. L’hanno umiliata quando hanno lasciato che la sua bellezza fosse violata dall’illegalità infiltrata in ogni istituzione.
160 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia, un Regno monco di un pezzo di territorio e della Capitale, che era in mano al Papa e che venne aggiunta solo 10 anni dopo, per volere di Ricasoli presidente del Consiglio e per mano di Cadorna, generale delle truppe italiane.
Già, le truppe italiane, l’esercito dismesso della nostra repubblica, che non viene neanche nutrito dallo Stato (è di oggi la notizia che un gruppo di militari italiani in missione di scorta a extracomunitari in procinto di rimpatriare, sono stati a guardare mentre, in attesa all’aeroporto per disguidi tra ambasciate, i clandestini mangiavano con doggy bag forniti dallo Stato italiano mentre le forze dell’ordine non avevano neanche bottigliette d’acqua).
160 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia che è costato tante vite, tanto sudore, tanta politica e poi è finito comunque nelle mani dei tedeschi ed è costretto a subire gli opportunismi dei francesi. 160 anni in cui avremmo dovuto imparare a essere popolo, sotto la guida di un inno nazionale tra i più belli:
Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Sai chi è questo Ferruccio, caro iCrewer? Era Francesco Ferrucci, un condottiero rinascimentale che nel ‘500 fu ucciso dalle truppe dell’assediatore, l’imperatore Carlo V, fuori da Firenze, per colpa del truffaldino Maramaldo. Esso incarna l’indomito spirito italiano, la fierezza della ribellione contro il nemico esattamente come il piccolo Balilla, il bambino genovese che prese a sassate l’esercito austriaco durante un assedio di Genova.
E poi i Vespri siciliani, i moti di rivolta dell’isola, gorgoglianti quanto l’Etna.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Sai, caro iCrewer, che Il canto degli italiani cita il popolo polacco e viceversa, l’inno polacco cita il sangue italiano? Siamo stati fratelli senza riconoscerci, nella lotta contro l’invasore. Che forza questo inno, che stupendo ardore le parole di queste strofe troppo raramente cantate.
160 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia… e siamo meno liberi di allora.
A volte la storia fa brutti scherzi.