10 febbraio, Foibe. Oggi si ricorda la tragedia dell’eccidio di migliaia di italiani per mano dei partigiani del dittatore comunista jugoslavo Tito. Gli italiani, nelle zone della Dalmazia, in Istria e a Fiume, furono uccisi e scaraventati nelle foibe, appunto, ovvero baratri naturali presenti sulle montagne carsiche. In innumerevoli casi i morti italiano furono gettati nelle gole da vivi.
Dopo decenni di negazionismo di questo che fu un vero e proprio olocausto italiano, nel 2004 fu istituito, per legge, il 10 febbraio come giornata di commemorazione della immane tragedia. Ho provato, caro iCrewer, a fare un pochina di chiarezza su questo tema ancora poco affrontato, affrontato male e nelle sedi sbagliate.
Ne ho parlato con il prof. Marco Cimmino, storico, esperto conoscitore di storia della guerra moderna. È socio accademico del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna), membro della Società del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, membro della Società Italiana di Storia Militare nonché componente di diversi comitati scientifici (CS regionale per la promozione e valorizzazione del patrimonio storico della prima guerra mondiale in Lombardia, CS del Centenario Associazione Nazionale Alpini, CS scientifico del Festival Internazionale della Storia di Gorizia).
Autore di due importanti volumi sulla prima guerra mondiale e del libro Da Yalta all’11 settembre. Ancora prima di tutto questo, il prof Cimmino insegna storia in un liceo, il luogo dove le nuove generazioni dovrebbero parlare di foibe.
10 febbraio, Foibe: intervista al prof Marco Cimmino. Facciamo chiarezza sulla storia
Innanzitutto grazie per aver accettato di rispondere a qualcuna delle mie domande. La questione ‘foibe’ è ancora molto confusa nell’immaginario generale, a volte mi chiedo se la scuola e i programmi ministeriali operino di proposito un oscuramento, una trattazione superficiale e abborracciata di un momento drammatico della storia italiana.
Ma andiamo con ordine, professor Cimmino. Non essendo io una storica domando a lei di tratteggiarci, anche in modo schematico, la situazione geopolitica in cui si compì lo sterminio delle popolazioni italiane nelle zone dell’Istria, della Dalmazia e di Fiume a opera dell’esercito del maresciallo Tito, dittatore comunista in Jugoslavia.
Partiamo da prima dell’occupazione jugoslava dei territori italiani nel 1946, che, ricordiamo, avvenne dopo la fine della guerra civile italiana quindi in tempo di pace. Proviamo per esempio a risalire all’8 settembre del 1943. Se la sente?
Cominciamo col dire che, nel settembre 1943, non ci fu alcuna occupazione di territori italiani: semmai, dall’entroterra, bande di affiliati o simpatizzanti titini, approfittando del disfacimento del regio Esercito, mossero verso il litorale e, con la complicità di elementi locali, attuarono la prima ondata di stragi. Diversa è l’occupazione del territorio nel 1945, quando il IX Korpus raggiunse Trieste: diversa anche la tipologia di infoibamenti.
Tito, poi, rivendicava il confine al Tagliamento (e, in subordine, all’Isonzo) e solo la presenza delle truppe di Freyberg impedì ulteriori avanzate. Altra storia è quella dei confini stabiliti dal trattato di Parigi, dal memorandum di Londra e dal trattato di Osimo.
Il ‘900, il secolo breve come lo definì Hobsbawm, è stato non il secolo delle guerre mondiali combattute con le armi, ma soprattutto un terribile periodo di genocidi. Esisteva la volontà di eliminare delle etnie, delle intere popolazioni.
A partire dal genocidio degli armeni per mano dell’impero Ottomano, e siamo solo al 1915, per arrivare al genocidio degli ebrei, a quello degli ucraini in Russia per mano del governo Stalinista per arrivare allo sterminio degli italiani da parte dei comunisti titini. Mi fermo solo per lasciare a lei la risposta perché di sicuro ho fatto torto alla memoria di molti popoli che non ho citato. Come si spiega questo terribile affresco di morte?
Per cominciare, la definizione di Hobsbawm è profondamente sbagliata e nasce dalla visione ebreocentrica dell’autore: in realtà, gli olocausti novecenteschi sono figli soprattutto del Positivismo e del Darwinismo o, meglio, del razzismo biologico. Questo, alimentato dalle iperideologie e dagli ipernazionalismi del XX secolo, ha determinato i genocidi.
Insomma, gli olocausti non sono figli di un rigurgito medievale, ma della modernità. Quindi, non solo il Novecento non è un secolo breve, ma è addirittura un secolo lunghissimo.
Gli istriani furono esuli in patria giacchè considerati fascisti in Italia, visto che erano fuggiti dal regime comunista, e popolo da sterminare in terra nativa. Era ancora un’Italia in cui l’accoglienza spregiudicata non andava di moda: adesso nessuno si sognerebbe di rovesciare cartoni di latte sui binari dei treni di profughi pur di non darli ai bambini giuliano dalmati.
Eppure allora succedeva nei confronti di persone che avevano l’unica colpa di essere italiani e di essere fieri della loro cittadinanza. Gente che era stata austroungarica fino al 1918 e che poi, per volontà, era diventata italiana. Posto che adesso, nel 2020, non avrebbe poi molto senso rivendicare quei confini, mi chiedo che sostanza dare oggi alla parola patria.
Quale nuova sintesi attribuire alla sovranità di ogni nazione, se è ancora lecito che l’Italia si muova per fare il proprio interesse o debba sottostare a un interesse europeo ormai imprescindibile.
La domanda mescola problemi diversi. L’accoglienza vergognosa degli esuli dipese, fondamentalmente, da due fattori: un fortissimo PCI, che si allineava su posizioni filojugoslave e, soprattutto, una DC che considerava i profughi una seccatura imbarazzante, dato l’indirizzo della politica USA nei confronti della Jugo non allineata.
Ricordo che l’Italia aveva pagato i danni di guerra avallando, di fatto, la nazionalizzazione dei beni degli esuli da parte di Tito. Quindi, da una parte il silenzio democristiano e, dall’altra, la propaganda comunista fecero sì che gli esuli fossero guardati con sospetto, se non con aperta ostilità. Quanto alla sovranità nazionale, in un mondo dominato dalla finanza e dai grandi trust bancari, è poco più che un’espressione teorica. La Patria è morta e non risorgerà, insomma.
Ultima domanda, professor Cimmino: come è stato possibile che la politica, la cultura e la scuola italiane abbiano oscurato le tragiche vicende legate alle foibe, i baratri carsici in cui i militari titini gettavano gli italiani spesso ancora vivi? Perché si è dovuto attendere il 30 marzo 2004 affinchè in Italia fosse istituita per legge una giornata, il 10 febbraio, in memoria di quei tragici eventi e di quello spaventoso esodo?
Lei docente, storico, autore di innumerevoli opere che raccontano il ‘900 e interprete lucidissimo dei cambiamenti, ci può spiegare a che punto siamo della presa di coscienza della storia italiana?
In parte, ho già risposto: quando un Paese è diviso in due grandi blocchi politici, come l’Italia del dopoguerra, è inevitabile che viva di compromessi: alla DC andò il controllo dell’economia e al PCI quello della cultura. Quindi, fino agli anni Settanta, di foibe e Esodo nemmeno si parlava: si ricominciò a parlarne al tempo di Osimo, con le proteste missine.
Tuttavia prevaleva ancora il vecchio pregiudizio e la sinistra applicava il negazionismo come forma di dizinfomacija. Quando fu impossibile negare, si passò al riduzionismo (ossia alla descrizione di fenomeni minimali e sporadici) e al giustificazionismo (spiegazione secondo cui le vittime erano quasi tutte fasciste), sfruttando l’enorme potenza dell’apparato culturale comunista.
A questo si aggiungano il disinteresse editoriale e la decadenza culturale della scuola. Oggi, il problema è soprattutto di disinformazione e di ignoranza globale: si ignorano i più elementari fenomeni della storiografia contemporanea e, quindi, anche le foibe e l’Esodo.
Non c’è, dunque, alcuna presa di coscienza: spesso le scuole ottemperano all’obbligo di legge come ad una seccatura inevitabile. Dovrebbe essere il 10 febbraio ogni giorno dell’anno, invece è cara grazia se lo si celebra in modo accettabile. Credo che il problema vada affrontato radicalmente: la scuola andrebbe rivoltata come un guanto e ripensata ex novo.
Quanto alle foibe, bisognerebbe inserirle nel più vasto filone storiografico degli olocausti novecenteschi, modellizzandola e normalizzandone i parametri d’analisi: si scoprirebbe che tutti i genocidi nascono, procedono e vengono nascosti allo stesso modo e, al contempo, si smetterebbe di usare le foibe come arma di scontro politico, trasformandole in un evento da studiare sine ira et studio. Ma capisco che è una cosa un po’ difficile…